Lena Horne iniziò ad esibirsi in pubblico a 16 anni, quando la madre la mandò a cantare nel coro dell’Harlem’s Cotton Club. Si trattava di un coro di afroamericani che si esibivano, per lo più, per un facoltoso pubblico bianco.
Le sue eccezionali capacità artistiche la portarono, nel 1942, a firmare un contratto cinematografico con la MGM, fu una delle prime artiste nere a raggiungere questo traguardo. Ma nonostante ciò, la sua strada non fu assolutamente semplice: lo show business hollywoodiano la discriminò puntualmente, preferendole sempre attrici bianche come protagoniste e deviandola, grazie alle sue indubbie qualità canore, verso il ruolo secondario della cantante. Anche perché, in questo modo, quando il film doveva essere distribuito e visto negli stati del Sud, sarebbe stato molto più semplice tagliare le scene in cui Lena veniva inquadrata.
Sono anni profondamente ingiusti ed assurdi: alle attrici nere sono assegnati ruoli marginali, per lo più cameriere e prostitute. Lena Horne, inoltre, non solo venne boicottata per il colore della sua pelle da registi, impresari e produttori bianchi, ma venne anche attaccata dai neri che l’accusavano di utilizzare la sua bellezza e la sua pelle più chiara per voler “passare avanti” agli altri.
Malvista dai bianchi, malvista dai neri e congelata nell’eterno ruolo di cantante. Lei stessa si definì come una farfalla inchiodata ad un palo, un’immagina cruda e spietata, ma perfettamente corrispondente a quella che era la realtà. Il mondo del cinema, “Movieland”, la cercava, ne apprezzava le qualità, la desiderava, la ammirava in un modo perverso e meschino ed allo stesso tempo ne aveva paura, temeva il suo coraggio, la sua forza, la sua volontà.
Lena Horne non si arrese mai, non divenne mai quella bambola che avrebbero voluto costringerla ad essere. Continuò ad esibirsi in pubblico, a denunciare i soprusi razziali, rifiutando di cantare in spettacoli separati per soli bianchi, presentandosi puntualmente in televisione, tentando, in tutti i modi possibili, incurante degli sguardi torvi, di dimostrare come quella stupenda voce fosse anche un volto, una pelle, un cuore, una mente, una persona, una storia da raccontare, la storia di una nazione che continuava a dividersi in schiavi e padroni, che continuava a segregare e diffamare, a incutere paura ed utilizzare la legge per sancire violenza e diseguaglianze.
Durante la guerra, una guerra che gli Americani stavano giustamente combattendo contro le ideologie di stampo nazista e fascita, quando le autorità militari escludevano i soldati neri dai concerti, lei non esitava mai a trattenersi più del dovuto e cantare solo per loro, trasformandosi, in pratica, in ciò che una Betty Gable poteva essere per i soldati bianchi. Ma le sue azioni e le sue scelte furono sempre fatte per uno scopo più alto: rendere il mondo un posto migliore. Incurante delle critiche, delle offese e delle accuse che riceveva quotidianamente, Lena Horne non arretrò mai d’un passo.
Fu questo suo atteggiamento, questa sua determinazione, il suo aprirsi al prossimo e sposare le cause che riteneva giuste, a portarla ad essere inclusa nel celebre rapporto “Red Channels”, ossia un elenco dei cento artisti americani ritenuti vicini al comunismo. Di conseguenza venne immediatamente bandita da Hollywood, fu osteggiata, denigrata e costretta ad accettare solamente esibizioni in piccoli e marginali nightclub di provincia.
Era nuda, la sua vita era nuda, come recita la celebre canzone “Stormy Weather”. Altri si sarebbero spezzati, ma non lei, lei aveva trovato una nuova battaglia da combattere: dimostrare che la maggior parte delle persone incluse in quei rapporti governativi erano, in realtà delle vittime. Non erano comunisti, non avevano mai avuto nulla a che fare con l’Unione Sovietica, ma erano stati risucchiati da un buco nero di menzogne ed ipocrisia, perché avevano tentato di denunciare tutte le ingiustizie ed il razzismo che ancora stritolavano, nel dopoguerra, gli afroamericani e tutte le altre minoranze. Quei rapporti erano delle vere e proprie rappresaglie, delle liste di proscrizione, con le quali chiudere, per sempre, la bocca a persone ritenute scomode e renderle nemiche agli occhi di un’opinione pubblica particolarmente sensibile, durante gli anni della guerra fredda, al pericolo comunista.
Lena Horne non si tirò indietro, non esitò a contattare celebri anticomunisti, a battersi per dimostrare la sua innocenza e riabilitarsi agli occhi del pubblico americano. E ci riuscì, arrivando, nel 1957, a pubblicare un album live che entrò nelle prime posizioni delle classifiche dell’epoca e la restituì, finalmente, al grande pubblico, senza mai rinunciare o tralasciare le sue battaglie per i diritti civili.
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