Piccole lacerazioni che diventano enormi buchi neri, i quali, a loro volta, ci trasformano in mostri, alterando non solo la percezione del presente, ma anche quella del passato che viene ribaltato e riscritto a nostro piacimento, quasi a voler giustificare ed ammorbidire quelle che sono state le scelte più devastanti, i momenti di sofferenza e le occasioni perdute. Ma poi le vorticose iniezioni di cruda realtà di “Hardline”, il brano che apre il terzo album di Julien Baker, ci mostrano semplicemente i fatti, le storie, le perdite, i piccoli oblii che risucchiano le nostre migliori energie, le nostre emozioni ed il nostro stesso tempo.
Chissà se deve essere necessariamente tutto così buio, doloroso e complicato attorno a noi, questo interrogativo ci accompagna per tutto il viaggio, penetra nelle atmosfere folkeggianti del disco, nelle distorsioni di matrice indie-rock che scuotono “Ringside”, nell’intimità dei respiri notturni di “Heatwave”, a metà strada tra una confessione liberatoria, un inno all’amore perduto ed una corda che si fa sempre più stretta. Il suono di questo lavoro è, senza alcun dubbio, più corposo rispetto al passato; bassi e synth rendono le ritmiche più cupe ed ossessive, trasformando il Tennessee in una ferita aperta, il fondo di quel pozzo oscuro dal quale la Luna, l’unica vera compagna di viaggio delle anime più inquiete e frammentate, non è più visibile. Il nero non è più solo un colore, ma diventa un peso da sopportare e se non riusciremo a liberarcene, non potremo mai risalire questo stramaledetto pozzo.
In quest’oscurità non possono che tornare i medesimi dubbi, le antiche debolezze, quelle che strizzano l’occhio ai più terribili abusi’, quelle corse assurde e forsennate senza alcuna meta, senza alcun freno che ci possa fermare. Si tratta di un malevolo intreccio di disperazione, auto-commiserazione e auto-distruzione al quale è possibile rispondere solamente riconoscendo i propri limiti ed appoggiandosi agli altri, agli amici, agli affetti più cari, a qualsiasi cosa possa illuminare questo dannato buio, perché la risposta a quella domanda è “no”; non deve essere necessariamente tutto nero attorno a noi.
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