Che la notte ci appaia oscura, che il futuro sia assolutamente ignoto, probabilmente, sono cose del tutto naturali, come, del resto, è naturale il bisogno degli esseri umani di essere fiduciosi verso l’indomani, di sapere di poter contare sui propri affetti più cari, di sentirsi parte integrante di una società che con le sue istituzioni, con le sue norme, con le sue classi dirigenti tenta, in tutti i modi, di preservare, proteggere e rendere sicura l’esistenza di ciascun individuo che ne fa parte.
Oggi, possiamo essere certi di questo? Ci sentiamo sicuri, protetti, consapevoli? Questa pandemia, probabilmente, ha solo messo in evidenza le crepe già esistenti delle nostre comunità ed ora, che sentiamo così prossimo l’imminente crollo, veniamo presi dall’irrazionalità, dallo sconforto, dalla rabbia. Ci sentiamo in balia di una notte eterna e non sappiamo se il Sole che gli “Holy Monitor” evocano in “Naked In The Rain” ritornerà davvero a risplendere sul nostro mondo. Ma, intanto, le sonorità dolenti, pervase da trame di matrice krautrock e psichedelica, prendono il sopravvento, riverberano delle nostre emozioni più fragili, di tutte le ansie, le debolezze e le ossessioni che riversiamo nella nostra quotidianità; nelle nostre case, sempre più simili a delle prigioni più o meno dorate; in ogni contatto ed ogni relazione con gli altri, i quali non sono più delle persone con le nostre stesse difficoltà, le nostre stesse esigenze ed i nostri sogni, ma diventano, semplicemente, delle potenziali minacce.
Questo penetrante e perverso senso di pericolo e di diffidenza carica l’aria di tensione e di elettricità; riff sferzanti si abbattono sul nostro inconscio, le ambientazioni si fanno torbide e cinematografiche, riempendosi di tonalità cupe e magmatiche, mentre lo stesso cielo sembra, da un momento all’altro, dover piombare, con tutto il suo peso, sulla Terra. “The Sky Is Falling Down” è intrisa di epico e viscerale metallo, ma non è una fine, è il passaggio necessario, affinché dopo la burrasca emotiva e sonora, le divagazioni prog-rock di “Hourglass”, le vibrazioni positive di “Southern Lights” e le armonie di “Blue Whale”, ci permettano di resettare tutto ciò che di fallace, finto e menzognero avevamo attorno a noi, permettendoci di ritornare in sintonia con i suoni più puri e primordiali del ventre materno, dell’oceano, delle nuvole e dell’alba di un giorno nuovo, un’alba i cui primi bagliori frammentano il pesante e claustrofobico sudario della notte.
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