L’ingresso tra le trame elettroniche di “Don’t Chase The Light” è immediato e piacevole. “Intrusion” e la successiva “Lucent” assumono le sembianze di un viaggio entusiasmante attraverso un mondo nuovo e pieno di luce, di vita e di colori, prima che “Heaven”, con le sue ritmiche più lente e trepidanti, ci accompagni ad incontrare le ombre della sera, nonché tutte quelle creature che amano vivere la notte, nutrendosi di tutti i pensieri, le percezioni e le emozioni che preferiamo lasciare alla deriva, perché troppo ingombranti, troppo impegnative, troppo estenuanti, per far parte della nostra quotidianità e soprattutto per esser parte di quel modello di economia, sviluppo, interazione e socialità che abbiamo scelto di sposare.
“Torch #1” arriva all’improvviso, con la notte dalla quale siamo, ormai, stati risucchiati. Rappresenta il passaggio più torbido del disco, dominato dalle trame più ossessive, dark ed industriali, che richiamano la techno spasmodica e febbrile degli anni Novanta e donano spessore corporeo alle nostre inquietudini e a tutti i dubbi riguardanti le scelte che abbiamo compiuto. Lo stesso viaggio, che solo un paio di brani fa, appariva promettente ed appagante, adesso ci appare come un percorso imposto ed obbligato; un percorso fatto di tappe predefinite, che non offre, praticamente, alcun margine alla nostra libertà: la scuola, l’istruzione, la famiglia, la casa, il lavoro, il proprio partner, gli amici, il mutuo, le rate, la banca, la spesa, l’auto, le vacanze, tutto quello che desideri, tutto quello che puoi comprare, tutto quello a cui sei stato costretto a rinunciare.
Questo è il brano che va più a fondo nella nostra intimità, i successivi “Elevate” e “Just A Destiny” non fanno altro, con le loro evoluzioni sapientemente controllate e misurate, che esplorare questo reame nascosto, rendendocelo così più familiare, meno mostruoso e permettendoci di comprendere un po’ meglio noi stessi, aiutandoci a riportare in superficie aspetti della nostra personalità che avevamo inconsapevolmente annegato nella dimensione più onirica, sfuggente e sfumata dei nostri sogni. Adesso saremo più consapevoli di ciò che abbiamo dentro, più critici verso ciò che abbiamo attorno, meno intorpiditi ed assuefatti nei nostri ragionamenti; il passaggio successivo potrebbe essere, dunque, quello del ribaltamento di tutte le verità e di tutte le certezze che davamo per scontate. Ne saremo capaci? O sarà meglio, per quieto vivere, far finta di nulla e continuare allo stesso modo?
“It Was Like Autumn” ci mette davanti a questo bivio, voci estranee ci ricordano ciò che siamo davvero, ci rammentano che il buio e la luce non sono distinti e separati, ma coesitono l’uno nell’altra, così come nelle ritmiche elettroniche del duo friulano convivono sonorità gelide ed artificiali di matrice synthwave, ma anche un caloroso, fremente e viscerale post-punk: futuro e passato, corpo e spirito, ragione e sentimento.
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