“Where I Am”, il nuovo singolo di Atto Seguente, al secolo Andrea Vernillo, si apre con ritmiche elettroniche ipnotiche e regolari, quasi a voler rappresentare, musicalmente, quel processo globale d’intristimento, smarrimento ed alienazione che ha svuotato le nostre esistenze. Tutto ciò ci destabilizza e ci incupisce, ma, allo stesso tempo, è proprio la ripetitività di queste attraenti melodie e di queste sonorità rarefatte, aeree e minimali a guidarci in quello che è il caos vorticoso dei nostri stessi pensieri, i quali appaiono sempre più criptici e sfuggenti, mentre il mondo esterno sembra dissolversi e riportare ogni sensazione fisica, ogni percezione, ogni emozione, ogni sentimento, ad un’unica vibrante domanda: che ne è stato della nostra felicità?
Perché ci sentiamo persi? Siamo noi stessi, con le nostre scelte e i conseguenti fallimenti, gli unici responsabili di questo abisso nichilista che risucchia tutto ciò e tutti coloro con cui entriamo in contatto? Quando la disperazione sembra assumere il sopravvento decisivo ed estremo, rendendo le ambientazioni del brano sempre più malinconiche e claustrofobiche, ecco che l’entrata in scena della voce, di quel fatidico interrogativo – “dove sono” – e del tenue rumorismo finale spezzano questa perversa catena di frustrazione, facendo sì che quelle poche parole, pronunciate una dopo l’altra, diventino il simbolo dell’ostinazione umana. Siamo all’ultima stazione della via crucis di ricordi scolpita nella nostra memoria, di un doloroso rito introspettivo che rappresenta sia l’arrivo, che la successiva ripartenza.
Infatti, come in Thomas Bernhard, l’essere soccombente è sottoposto alle martellanti ripetizioni dello stesso tema, al loop eterno di morte e rinascita delle stagioni, prigioniero di un eterno monologo interiore, che scava nella sua coscienza, percorrendo, a ritroso, un percorso nel suo passato, in una continua contrapposizione tra ciò che è avvenuto e ciò che avverrà, tra la solitudine assoluta ed il bisogno di nutrire legami sociali ed affettivi, tra la rabbia brutale, irrazionale e selvaggia dell’io-primitivo e una estrema richiesta d’aiuto, ovvero di quella mano tesa che ci consenta di emergere da questo abisso, da questo ventre morbido, da questa dimensione aliena dalla quale ci siamo, più o meno consapevolmente, lasciati attrarre e sedurre.
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