E’ la storia, non è colui che la racconta, scriveva Stephen King. E questa, infatti, è una storia che viene da lontano, più forte del tempo e delle stesse stagioni, più forte di quell’amore e di quell’odio che si attraggono e si respingono, che si cercano disperatamente, per poi scontarsi inevitabilmente. Una storia malinconica e cruda, dolente e romantica, proprio come questa Venere caduta in disgrazia e pervasa dal rumore delle onde che si infrangono su una spiaggia solitaria; onde intrise di sonorità gotiche e darkwave, di un caleidoscopio di colori che richiama le tonalità e le ritmiche della new wave degli anni Ottanta, mentre le trame electro-pop degli anni Novanta si stringono, come se fosse un gioco inebriante, attorno a noi, ai nostri sentimenti, ai nostri demoni interiori.
Fantasmi che chiamiamo per nome ed il loro nome è quello delle nostre peggiori paure; è il solo modo che abbiamo per liberarcene e cioè acquisire quella consapevolezza e quella maturità che ci permettano di predire il futuro attraverso la conoscenza e lo studio del nostro passato. Un passato che arriva col passo leggero e accattivante di danzatori e danzatrici, figure semi-umane illuminate dai gelidi bagliori delle luci stroboscopiche, in un turbinio caloroso di ricordi, di voci, di percezioni che emergono dal buio della nostra stessa memoria, trasformandosi in un nuovo e misterioso percorso da seguire; in un’ennesima porta da aprire; in un’altra soglia da varcare; in un dancefloor sul quale sacrificare la nostra stessa nostalgia ad un nuovo domani, alle nuove ossessioni che arderanno dentro di noi, alla nuova alba che spunterà dai meandri più oscuri delle nostre coscienze, laddove avevamo riposto i sogni che ritenevamo essere troppo ingombranti, troppo costosi, troppo pesanti da sopportare.
Questo, però, è il momento di riprenderne il pieno possesso, di smettere di mentire a noi stessi, di mettere fine a questo doloroso e desolante accontentarsi, nell’attesa che un abisso di oblio e solitudine ci risucchi per sempre; questo è il momento del ritorno, il momento delle sonorità synthwave, oniriche e crepuscolati, che ti accarezzano l’anima, che sciolgono quello spesso strato di ghiaccio che s’era formato attorno i nostri piccoli e fragili cuori, impedendo loro di pulsare, liberi e recettivi, nelle ore più tenebrose e silenziose della notte, quelle nelle quali, appunto, si inventano, si narrano e si ascoltano le storie; storie in grado di dissolvere le ombre, storie che prescindono chi le racconta e chi le ascolta.
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