Il terzo album del duo psych-garage napoletano si mantiene fedele alle dinamiche ed alle ritmiche ruvide e provocanti dei dischi precedenti, ma gode di una produzione che rende i brani più pungenti ed incisivi; è come se la torbida e selvatica energia dei Devils fosse stata concentrata in onde d’urto ad elevata intensità sonora, veicolate nei nostri corpi stanchi ed assuefatti e focalizzate su quel bersaglio che abbiamo sul lato sinistro del petto.
Le sonorità aspre e randagie di “Roar” prendono la mira, dopodiché il duplice e conturbante groove di chitarra e batteria di “I Appeared To The Madonna” (link articolo) investe le vittime sprovvedute, affondando i suoi sonici e mortali artigli nel ventre morbido e malandato di questi tempi moderni, confusi e contraddittori; in quelle pieghe flosce e cadenti, laddove – in una sorta di auto-punizione inconscia – tentiamo di appagare l’irrazionale senso di colpa che le istituzioni ci inoculano, nascondendo i nostri ringhi più brutali, gli incubi più oscuri e passionali, qualsiasi istinto capace di evocare, nella nostra mente, immagini, emozioni, comportamenti tali da farci deviare dai luridi binari di paternalismo sui quali questa politica da discount ci vuole proni ed allineati. Innegabili, infatti, sono i loro sforzi – siano essi leciti o illeciti, costituzionalmente validi o profondamente ingiusti, umani o disumani, più o meno intimidatori – di spegnere l’ardore insito in ogni essere umano, quello stesso impeto dal quale nascono le selvagge vibrazioni di matrice heavy-blues di “Real Man”.
Ma la realtà, la verità, la spontaneità sono dee alle quali abbiamo rinunciato ad offrire i nostri sacrifici, convincendoci che così sarebbe stato più facile voltarsi dall’altro lato, fingere di non sentire il tocco di quelle mani feroci che violentano le nostre anime, rendendo le nostre stesse vite sempre più simili a cagne scheletriche e malridotte. “Life Is A Bitch” e tutto il resto sono solamente esistenze virtuali, reality show e baccanali mediatici; questi sono i veri mostri, non coloro che ci sbattono in faccia la cruda veridicità dei fatti. Viviamo, purtroppo, il nostro stesso tempo come un preoccupante limite, perché esso non è altro che un interminabile susseguirsi di impegni, obblighi, frasi di circostanza, accordi, luoghi comuni, sorrisi fasulli, che non hanno nulla a che vedere con la crescita o con la conoscenza. Abbiamo rinunciato, in nome del giudizio e delle opinioni altrui, ad esperienze che ci avrebbero trasformato in creature più mature e consapevoli, preferendo vivere, invece, in un eterno ed immobile presente, nel quale il tempo è un veleno e, di conseguenza, va diluito, controllato, arginato.
Ultima gemma d’ardore cremisi è la collaborazione con Mark Lanegan in “Devil Whistle Don’t Sing”, un brano elettrico, malinconico e notturno, che, come un coltello affilato, penetra nei meandri più bui ed ossessionati di questi nostri cuori tronfi ed avvelenati, lacerandoli e liberandoli, finalmente, da tutto lo stress, la merda, il colesterolo cattivo, l’inferno che essi sono costretti a tenersi dentro.
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