Istanbul ha un’anima oscura e tormentata che volge il suo sguardo verso sonorità lunatiche e crepuscolari di matrice darkwave, figlie dei tempi incerti che stiamo attraversando, ma anche di quel decadente e vivido romanticismo che affonda le sue radici nel periodo storico a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, nelle trame di band come i New Order o i Depeche Mode. Oggi, però, avvertiamo un senso d’urgenza più crudo e più spietato; la tecnologia ha creato un mondo nel quale gli esseri umani trovano sempre meno spazio per esprimere i propri sentimenti ed i propri istinti e sono costretti, di conseguenza, a sposare, assorbire ed adottare – per timore e per convenienza – comportamenti, idee, opinioni che, sempre più spesso, non sono naturali, ma vengono imposti dall’esterno.
“Fiyasko” è il risultato finale di queste scelte e queste azioni: un futuro di ombre e di fantasmi che hanno preso il posto della misericordia, delle parole di scusa e del perdono, riducendo le persone ad identità virtuali che riconoscono ed accettano solamente i propri simili, seguono le medesime mode, coltivano i medesimi sogni, adottano i medesimi stili di vita e rifiutano chiunque appaia diverso ed alieno rispetto i ruoli che la nostra società teorizza, impone, favorisce e prevede. Intanto, però, le città sono sempre più caotiche e connesse tra loro, è impossibile controllarne quel cuore notturno e pulsante; un cuore da cui emergono queste atmosfere oscure ed accattivanti, intrise di sintetizzatori, armonie glaciali, linee ritmiche che strizzano l’occhio alla new-wave, letteratura gotica, desiderio di penetrare nelle profondità dell’animo umano, di orientarsi tra le peggiori ossessioni, i disturbi mentali, le paure primordiali dalle quali, successivamente, si originano quei comportamenti aggressivi, dispotici, violenti che mettono in pericolo sé stessi e gli altri.
Affet Robot ricerca le radici del male nel nostro passato; si tratta di un male che si nasconde dentro di noi, nutrendosi dei nostri rimpianti, delle nostre delusioni, delle nostre colpe e soprattutto dei momenti nei quali non siamo stati in grado di esprimere i nostri veri sentimenti, preferendo rifugiarci in frasi fatte, falsi moralismi, leggi, obblighi, divieti, precetti che, alla fine, non sono che un modo subdolo e meschino di nasconderci ed evitare possibili problemi, limitando, però, in questo modo, la possibilità di percepire la vera ed eterogenea bellezza del mondo.
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