Ogni album dei Tool è un’esperienza complessa e strutturata, rispetto alla quale il tempo diviene assoluto. Cosa sono, in fondo, 10000 giorni? Apparentemente nulla, ma se, invece, misurassero il nostro dolore? Magari un trauma che ti impedisce di muoverti liberamente, di avere una vita propria, un demone affamato che ti debilita nel corpo e nella mente, in attesa di una fine che pare essersi dimenticata di te? Ma 10000 giorni continuano ad essere gli stessi, in attesa che Saturno rientri ad esser parte della tua esistenza e ti dia la possibilità di accettare il male e la sofferenza, le delusioni ed il senso di abbandono, trasformandoli in qualcosa che, agendo a livello inconscio, ti permetta di rigenerarti, di evadere da schemi obsoleti, di comprendere che se non inizi davvero ad impegnarti e nuotare con tutte le tue forze, allora non ti resterà che affondare. Quanti sono quelli che non ce la fanno e si lasciano risucchiare dal vortice? “10,000 Days” è una risposta al loro grido d’aiuto, un album meno metafisico rispetto al precedente “Lateralus”, ma più pratico, più personale, più politico, più vicino alle reali esigenze di vita quotidiana della gente comune.
Per la prima volta il brutale vuoto della perdita fisica, il ricordo di Judith Marie (madre di Maynard James Keenan), piegata ed afflitta, ma ancora salda nella sua fede, riecheggia tra le trame dolenti e consapevoli di “Wings For Marie (part I)”, che assume i contorni di un ultimo e definitivo saluto, mentre la successiva “10,000 Days (Wings Part II)” è un inno più spirituale e tenta di elevare il nostro sguardo oltre i processi e le tribolazioni umane, verso un orizzonte che sia, finalmente, affrancato dal peso di tutte le inutili indulgenze, i facili compromessi, le dolci menzogne che, spesso, accettiamo per tirare avanti. Eventi intimi che, per la prima volta, si riflettono nella geometria sacra che è alla base delle trame sonore dei Tool. Trame che plasmano il metallo, dilatano gli spazi e le divagazioni di matrice progressive-rock, rendendo sempre più dense le chitarre, mentre ogni elemento della realtà viene scomposto in successioni, in sequenze, in modelli, in forme, in colori, in percezioni primordiali, psichedeliche, sciamaniche e spirituali.
Chi siete, voi, per giudicarci? “The Pot” colpisce duro l’ipocrisia della nostra società, devasta quelle vite piatte e piacevolmente insensibili che sono sempre più simili a delle vere e proprie tombe, intanto “Jambi” vorrebbe tirare fuori tutto quello, compresi i nostri sogni o i nostri desideri più banali, che, solitamente, nascondiamo nella profondità più oscura di questi loculi esistenziali; i quali assorbono il nostro tempo, confondono l’alba ed il crepuscolo, ci convincono del fatto che, in fondo, stiamo bene così, abbiamo tutto quello che ci serve ed è pericoloso impegnarsi, è pericoloso chiedere spiegazioni, è pericoloso aprire gli occhi, è pericoloso discernere l’inizio dalla fine. Questa cruda tristezza dona a “10,000 Days” un sapore più caldo, passionale e blueseggiante; una sorta di tocco magico che, proprio come i vecchi blues del passato, cura le crepe e le ferite dell’anima, risveglia le coscienze, ti sprona a guardare meglio le cose prima di credere d’avere un’opinione o fare una scelta o sprecare inutilmente i tuoi giorni.
Pubblicazione: 2 maggio 2006
Durata: 75:52
Dischi: 1
Tracce: 11
Genere: Progressive Metal
Etichetta: Volcano, Tool Dissectional
Produttore: Tool
Registrazione: agosto 2005 – dicembre 2005
Tracklist:
1. Vicarious
2. Jambi
3. Wings For Marie (part I)
4. 10,000 Days (Wings part II)
5. The Pot
6. Lipan Conjuring
7. Lost Keys (Blame Hoffman)
8. Rosetta Stoned
9. Intension
10. Right In Two
11. Viginti Tres
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