Chi paga il concerto del primo Maggio? Chi lo organizza? L’organizzazione è affidata alla società iCompany di Massimo Bonelli (produttore discografico, manager, editore), ma buona parte delle spese sono coperte dalla RAI, il resto dagli sponsor; main sponsor ed altre aziende che offrono, comunque, il proprio supporto economico. Quest’anno i main sponsor erano il gruppo Unipol, la ENI ed il gruppo Intesa Sanpaolo, ai quali poi si aggiungevano gli altri sponsor (Galbani, Pringles, CONOU, Sebach e Otofarma). Il tutto, alla fine, promosso dai tre grossi sindacati confederali del paese: la CGIL, la CISL e la UIL.
È evidente, quindi, che dietro questa kermesse generalista vi sia un’accentramento di poteri eccezionale: grandi gruppi industriali, case discografiche, mondo sindacale istituzionale e, attraverso la RAI ed il controllo e l’amministrazione dei fondi pubblici, la nostra cara politica.
Questo “sistema” mette assieme potere politico, economico, sindacale, sociale e riesce a sfruttare i media (TV, radio, internet, carta stampata) per veicolare i propri messaggi e soprattutto per condizionare il grande pubblico.
In questo contesto, la musica, i singoli artisti, le varie band che prendono parte all’evento, nonché la loro esibizione, assumono un aspetto puramente marginale e secondario, a meno che non possano trasformarsi in una remunerativa fonte di polemiche, alzando così l’audience televisiva e quindi i ritorni mediatico-economici dello show.
Mi dispiace ammetterlo, probabilmente siamo anche noi stessi che scriviamo di musica a non sensibilizzare efficacemente le persone, ma queste manifestazioni sembrano rivolgersi, soprattutto, a quella maggioranza convinta che la musica in Italia possa essere ricondotta tutta al Festival di Sanremo, al Concerto del 1° Maggio, ad Amici, ad X-Factor e a qualche altro aberrante talent-show nazional-popolare del quale, adesso, mi sfugge il nome.
È evidente, però, che a differenza degli show finanziati da un unico padrone, Sanremo ed il 1° Maggio, utilizzando in gran parte il denaro degli sprovveduti italiani, facciano riferimento ad un sistema di potere nel quale si agitano diverse e svariate sensibilità politiche, per cui è assolutamente necessario, dal loro punto di vista, ovvero per il bene di quella rissosa, squallida ed ipocrita ammucchiata orgiastica che definiscono “larghe intese” – un po’, in fondo, come avviene con l’attuale governo Draghi ed il silenzioso benestare del Quirinale – trovare un perfetto bilanciamento tra le forze in campo.
Un equilibrio statico che si traduce, a livello artistico, musicale, tecnico e qualitativo, nelle scelte più ovvie, blande, narcotizzanti, mortifere possibili, emarginando, tranne rarissime eccezioni, la parte più viva, più vera, più capace, più interessante della musica italiana, da questi eventi. Ma non c’è da meravigliarsi perché, in fondo, stanno applicando il medesimo modello di gestione delle risorse umane che viene applicato per scegliere le classi dirigenti delle grandi aziende del paese, per scegliere i ministri della repubblica, per nominare i singoli deputati e senatori, per dividersi le cariche nella stessa RAI e di ogni altra azienda a partecipazione statale.
Le polemiche tra partiti, le polemiche tra i singoli politici, gli scontri verbali, le accuse al vetriolo, le apparizioni televisive non sono altro che un modo per distrarre l’opinione pubblica, mentre, sotto banco, la spartizione va avanti proprio come accadeva nei decenni passati. Le forze in campo sono esattamente le stesse, possono esser cambiati i nomi o le sigle dei partiti e dei gruppi di riferimento, ma non sono cambiate le menti ed i cuori. I comunisti, i socialisti, i democristiani, i liberali, i repubblicani, i missini di qualche decennio fa ora hanno trovato nuovi punti di aggregazione, nuove case più o meno progressiste, più o meno nazionaliste, più o meno laiche, più o meno cattoliche, più o meno liberiste e si fanno chiamare leghisti, democratici, pentastellati, forzisti, fratelli di tutti o di nessuno, ma sono sempre loro.
“Gente infame che non sa cos’è il pudore” e tra le altre cose, di musica, non ne capiscono assolutamente nulla, per cui la prima cosa da fare, la più ovvia, sarebbe sottrarre a questi “utili idioti” l’organizzazione di eventi e conseguentemente dei relativi fondi pubblici, ad iniziare proprio dal 1° Maggio, affidandosi, ad esempio, ad enti ed associazioni esterne, anche coinvolgendo gli stessi artisti, le band, le riviste musicali, i siti musicali, la spina dorsale più sana e reattiva di questo splendido settore e tenendo, per sempre, fuori la politica.
Magari, in questo modo, potremmo assistere davvero ad uno spettacolo qualitativamente migliore, dando risalto alla musica, soprattutto a quella più interessante e non avremmo bisogno che Fedez, “prodotto” dello stesso sistema di potere economico e mediatico che tenta di influenzare e controllare le nostre piccole e grandi scelte, ci ricordi, giustamente, che dovremmo essere più liberi, più consapevoli di quello che ci circonda, più forti nel rivendicare i nostri diritti, più responsabili nei confronti di noi stessi, del prossimo, del mondo intero e di quelli che sono i nostri doveri umani e civili.
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