“Sacramento”, l’EP d’esordio dei LAZZARETTO, è una creatura che vive senza alcuna fretta; un intreccio di musica contemporanea; di ricordi provenienti da un passato obliquo che unisce la Valle d’Itria, al Belgio ed al nord dell’Europa; di ambientazioni e trame post-rock; di notti insonni, trascorse tentando di sintonizzarsi su di una nuova stella polare, su un nuovo stimolante percorso. Un percorso scandito da ritmiche elettroniche, in un accattivante alternarsi di passaggi più melodici, morbidi ed introspettivi ed altri, invece, che sono febbrili, visionari, indisponibili a piegarsi al quieto, servile, silenzioso adattarsi, all’omologazione e al compromesso che caratterizzano, sempre più, questo mondo stanco e dolente.
Questi cinque brani sono un futuro che può vincere il languore e l’apatia del presente solo riscoprendo la purezza originaria del cielo e della terra, delle antiche tradizioni, dei miti rurali che, fondendo passioni primordiali, superstizioni ancestrali ed eroismo, tentavano di modellare gli istinti brutali e selvaggi che si nascondono, da sempre, nell’animo umano, per costruire un domani che fosse migliore.
Vi è, quindi, una certa dose di pericolosa e minacciosa ambiguità in ognuno di noi; un’ambiguità che ci spinge verso l’auto-distruzione, verso il male, verso la solitudine, verso quegli assurdi ed insensati conflitti che producono solamente sofferenze, macerie, distruzioni, morte. In fondo siamo creature lunari e notturne, spesso ci trasformiamo in lupi che hanno perduto il proprio branco ed il senno, diventiamo ombre di storie e narrazioni remote, l’ultimo colpo d’ali di una schiva e fragile falena, che preferisce farla finita, piuttosto che rimanere incatenata all’attesa perenne di un ritorno che non potrà mai più avvenire.
LAZZARETTO, alla fine, è la vittoria dell’amore – un’amore che ti fa a pezzi, ma che ti salva – a patto d’essere disposti a non chiuderlo in quelle inespugnabili e morbose torri d’amplesso che edifichiamo, avidamente, nel nostro cuore.
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