Siamo immersi un un’abbondanza di informazioni e pensiamo, di conseguenza, di poter trovare la risposta a qualsiasi domanda, semplicemente affidandola ad un motore di ricerca, in modo da annullare quell’intervallo di tempo che, normalmente, separa il problema dalla sua soluzione. Il progresso e la tecnologia ci hanno donato l’ebrezza della velocità, ma, allo stesso tempo, ci hanno privato del piacere della lentezza, cioè della capacità di assaporare il nostro tempo, le nostre piccole scoperte, i nostri fragili e temporanei traguardi.
Rousseau sosteneva che il tempo, più che guadagnato, andasse perduto, perché solo in questo modo l’essere umano ha la possibilità di ritrovare la sintonia con i ritmi e i cicli della natura, con quell’eterno uguale che ritorna, puntualmente, a presentarsi dinanzi i nostri occhi, permettendo così alla vita di rinnovarsi dopo ogni fine. Prima la società industriale e poi quella dell’informazione hanno sovvertito queste leggi fondamentali dell’esistenza, hanno eliminato e cancellato la morte, sostituendola con un falso mito di eterna bellezza ed intrappolandoci, di conseguenza, in un perenne e immutabile presente che rifiuta il proprio passato e che non potrà mai avere un suo futuro.
La velocità sulla quale avevamo basato questi nuovi modelli di integrazione, socialità e sviluppo, alla fine, ci ha rallentato così tanto, che ci siamo del tutto arrestati. “Heimweh” è l’istante nel quale il tempo ritorna liquido, le trame ambient e post-rock assumono l’essenza invisibile dei respiri cosmici, pervadono lo spazio immenso che separa le costellazioni, ma anche quello infinitesimo tra le nostre cellule, le quali mutano, crescono, muoiono e si liberano così dalla prigione statica di finta bellezza nella quale erano state rinchiuse.
I Monteceneri dipingono questa loro tela “lenta” e riflessiva, lo fanno attraverso il catartico scorrere di immagini mute e silenziose, immagini private della caotica e molteplice presenza umana, alternando paesaggi suadenti ad altri di stampo post-industriale, contaminandoli con voci senza corpo, con elementi naturalistici, con la consapevolezza della maturità, con la riflessiva e pacifica profondità del mare. Elementi eterogenei che scandiscono, però, il medesimo tempo, quel tempo che scorre, che muta, che finisce e che ritorna, misteriosamente, a vivere.
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