Non ci sono più spazi liberi nei quali fermarsi a prendere fiato, a riflettere o ricaricare le proprie batterie. Il caos e la frenesia dei tempi moderni, le brutali intromissioni mediatiche, la spropositata mole di informazioni veicolate dalla rete globale – spesso in maniera capziosa ed ingannevole – hanno travolto le nostre esistenze, trasformandoci nei partecipanti, più o meno ignari, di una corsa truccata. Una gara verso un mito artificiale di bellezza, felicità ed appagamento che, in realtà, non esiste, ma è solamente il risultato di indagini di mercato, di aggressive politiche di stampo neo-liberista, di una visione del mondo profondamente ingiusta ed elitaria.
Tutto ciò si riversa nelle sonorità di “Definitely Unfinished” rendendole taglienti, tese ed abrasive, una sorta di duplice sfogo noise-rock / post-punk contro questo sudario di falsità che si abbatte sulle nostre giornate, impedendoci di spingere lo sguardo verso l’orizzonte e di prendere liberamente le nostre scelte future.
Il primo brano, “The One I Blame”, è pervaso da trame ed ambientazioni più darkeggianti ed oscure; i synth si insinuano tra i nostri pensieri più torbidi e negativi, dando una accattivante rappresentazione sonora del buio che vive dentro di noi, nutrendosi delle nostre peggiori e più irrazionali frustrazioni, mentre la successiva “Bones” esplode di vivido rumore, spronandoci ad opporci a questa cultura di morte fatta di abusi, di prevaricazioni, di sfruttamento, di odio gratuito e di violenza, che sentiamo attorno a noi. La risposta rabbiosa del trio francese è una porta spalancata su prospettive e percezioni diverse, permettendo, nel frattempo, al paesaggio musicale di cambiare e di spostarsi verso gli elementi di matrice post-rock di “Dead Space”, brano che si apre a panorami più folkeggianti, morbidi e melodici.
La quiete, purtroppo, in questo mondo, è fugace; “Quick Violence” rende, nuovamente, l’aria che respiriamo elettrica. I W!ZARD guardano nel nostro inconscio, laddove germogliano i semi del male, permettendo alla brutalità e alla ferocia di avvelenare i nostri rapporti, di distruggere ogni legame affettivo e di consentire alle paure più primordiali di prendere il controllo delle nostre azioni. “Fears” descrive l’epilogo più triste e solitario che possa esserci, ma non è detto che le cose debbano andare necessariamente in questo modo: i feedback, le distorsioni, i loop, i rumori che accompagnano la fine ci riportano all’inizio, al momento nel quale le ultime ombre della notte soccombono alle prime luci dell’alba ed un nuovo ciclo, un nuovo ascolto, un nuovo viaggio possono, finalmente, iniziare.
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