I Votto tentano, in maniera energica ed intensa, ma con accattivanti aperture alla melodia, di dare vita a quella che potrebbe essere la colonna sonora del nostro arduo percorso di liberazione da quel groviglio di paure irrazionali, di ansie e di frustrazioni che schiacciano, impoveriscono ed appiattiscono le nostre piccole esistenze. In un’epoca nella quale i politici sono accecati dal consenso mediatico ed evitano, sistematicamente, tutte quelle scelte coraggiose, ma spesso impopolari, in grado di anticipare quelle che saranno, in futuro, le esigenze delle persone e del mondo in cui viviamo, la band piacentina – muovendosi in una “direzione ostinata e contraria” rispetto a quelle che sono le tendenze che dominano sia la musica italiana più alternativa, che quella più popolare – sceglie di realizzare un album politico. Un album nel quale la dimensione più introspettiva e personale si mescola, efficacemente, con quella che potremmo definire “passione civile”, che non va assolutamente confusa con ciò che, oggi, i media proni al sistema chiamano, subdolamente, “antipolitica”.
Canzoni come “Il tempo si è guastato” o “Finire tutto prima di iniziare qualcosa di nuovo”, sono sofferte e dolenti, le robuste sonorità di matrice post-hardcore ed emo-core, al di là dello spigoloso e grezzo muro di rumore ed elettricità, nascondono un vuoto opprimente ed atroce, che, in fondo, è quello che ha ucciso i partiti politici e i sindacati, che ha svuotato di ogni contenuto le scuole e le università, che ci ha reso tutti così uguali e, allo stesso tempo, così poveri di idee, di sogni, di imprese da realizzare, sostituendo il tutto con un’esistenza fatta unicamente di produzione e di consumo, di un’unica verità – la più comoda e la più conveniente – e soprattutto di tanta solitudine.
“Quindi Noi Sbagliando Facemmo Giusto” ci mette davanti agli occhi ciò che, normalmente, fingiamo di non vedere: tutte le strade e le scelte alle quali abbiamo rinunciato, tutte quelle cose che si sono rotte e che abbiamo preferito mettere da parte o addirittura gettare via, visto che il nostro modello di riferimento, di stampo neo-liberista, ci “suggerisce” continuamente nuovi oggetti, nuovi bisogni, nuove necessità, nuove forme di bellezza, nuovi miti, nuovi slogan, nuovi feticci da venerare e dopo un po’ – giusto il tempo di aprire il pacco – dimenticare per sempre. Ma così facendo dimentichiamo anche noi stessi, le nostre esperienze, il nostro dolore, la nostra felicità; perdiamo il nostro passato e ci accontentiamo, di conseguenza, di uno statico, immutabile e perenne presente che riempiamo di vanità, ipocrisia, sciocchezze, apparenze, effimeri “like”, i quali, in realtà, nascondono il fatto che abbiamo perduto la nostra umanità e con essa quel romanticismo che oltrepassa lo scorrere del tempo, annulla le distanze e che irrompe, con rinnovato vigore, dalla title-track, restituendoci, almeno per questi 17 e passa minuti, quel futuro al quale abbiamo troppo frettolosamente e troppo stupidamente rinunciato.
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