Le immagini di Davide Ferrario, accompagnate dalle sonorità post-punk ed elettroniche di Massimo Zamboni, sono intrise di fisicità, di profumi e di sapori che riescono a vincere l’inevitabile scorrere del tempo. Una testimonianza resistente che non cade nelle ovvie banalità, che, puntualmente, nel giorno dell’anniversario, vanno a riempire le pagine dei quotidiani o i servizi dei telegiornali, i quali, spesso, tendono a fornire una visione assolutamente semplicistica di quegli eventi, intorpidendo la verità dei fatti, rendendo tutti ugualmente responsabili e fingendo di dimenticare, come dice lo stesso Zamboni, che l’indignazione del cittadino, contro chiunque voglia rendere questo pianeta un luogo più ingiusto, più disumano, più inquinato, non è solamente un diritto conquistato, col sangue, dalle generazioni passate, ma è anche un nostro dovere.
Di Genova e del G8, oggi, sembrano tutti così esperti e sono tutti diventati così generosi di spunti, di idee, di opinioni, di riflessioni e di analisi critiche.
Eppure, sinceramente, io non me li ricordo nel 2001, per le strade di Genova, in quelle giornate afose. E non me li ricordo nemmeno di notte, quand’eravamo stretti, gli uni accanto agli altri, sulle gradinate dello stadio Carlini, per proteggerci da quel freddo pungente che veniva dal mare.
Non me li ricordo correre e neppure camminare. Non mi ricordo il suono delle loro voci, i loro discorsi, le loro imprecazioni; non mi ricordo l’espressione dei loro volti, né mi ricordo i loro occhi perdersi nella atroce e violenta profondità di quelle lunghe giornate.
Probabilmente erano esattamente dove sono ancora adesso: nei loro comodi salotti, sui loro divani di pelle, davanti agli schermi luminosi ed assuefacenti dei loro computer, dei loro smartphone, delle loro televisioni, a scrivere cazzate; a giudicare persone che non hanno mai conosciuto, né ovviamente frequentato; a parlare di fatti che non hanno mai vissuto; a elargire sentenze sprezzanti che nessuno gli ha mai chiesto, senza avere, tra l’altro, alcuna reale contezza di quei luoghi e di quelle giornate ormai lontane.
Solo chi era là, sa davvero cosa sono stati Genova ed il G8. E non lo scorderà mai.
Ed oggi è assolutamente necessario ricordarlo a chi è venuto dopo, perché solamente coltivando, nutrendo ed annaffiando quella che è la memoria comune potremo avere i mezzi per contrastare quei rigurgiti di violenza, di odio e di intolleranza, che, incuranti della lezione della storia, si ripresentano, puntualmente, alle nostre porte, col loro triste carico di dolore e di sofferenza, con il loro dito puntato contro chiunque appaia diverso o tenti di esprimere idee, concetti, sentimenti che non sono quelli imposti, in maniera sistematica ed intrusiva, dalla rete globale delle informazioni, dai media di regime, dalle grandi lobby di potere, da quella esigua minoranza che detiene il controllo delle ricchezze e delle risorse dell’intero pianeta.
Rammentare quei giorni significa impedire alla nostra umanità e alla nostra coscienza civile di appassire.
Comments are closed.