A Place To Bury Strangers trasformano il rumore in uno sfogo dolente e catartico, nelle fiamme della fine che ardono in una notte scandita da sonorità shoegaze e post-rock; sonorità che strizzano l’occhio alle distorsioni, ai feedback, alle vibrazioni ed agli echi di quei fantasmi post-punk che continuano a rimanere al nostro fianco, spronandoci a non lasciarci incantare dalle luci e dai bagliori della rete globale, dalle sue mistificazioni e dai suoi falsi eroi, dalle sue mode temporanee e dai suoi modelli artificiali, perché là fuori c’è una realtà cruda, spigolosa e claustrofobica, una realtà che fa decisamente male.
“End Of The Night” e “I Might Have”, i brani d’apertura di questo EP, sono, appunto, intrisi da queste melodie estranianti, viscerali ed abrasive, mentre le successive “Playing The Part” e “I Might Have” riportano i suoni della band newyorkese su binari più onirici, romantici e malinconici, espressione di un’anima ferita dalle esperienze e dai ricordi del passato. Un passato che ha il sapore degli anni Novanta, mentre i bassi sembrano seguire le pulsazioni del nostro cuore, i respiri affannati, il desiderio di un’esistenza svincolata da quei meccanismi e da quegli ingranaggi tipici di questa esasperante ed omologante società del consumo e del controllo, la quale – in cambio delle sue chimere e dei suoi miraggi – si prende la nostra libertà, il nostro tempo, le nostre energie, ogni emozione ed ogni sentimento che non rientrano, alla perfezione, nei suoi tristi e scontati algoritmi.
Eppure avremmo bisogno di altro, innanzitutto di qualcuno al nostro fianco, indipendentemente se ciò ci renderà felici o ci farà soffrire; magari avremmo bisogno di riscoprire i Joy Division, i My Bloody Valentine e i Jesus And Mary Chain; avremmo bisogno di addormentarci, ascoltando “I Need You” chiudere questo EP, senza programmare nessun domani, lasciandoci trasportare altrove da queste atmosfere sghembe, disordinate e caotiche, che, in fondo, rappresentano la nostra imprevedibile umanità, le nostre percezioni personali, le nostre idee, senza che qualcuno – dall’alto del proprio altare economico, politico, etico, sociale o religioso – ci giudichi e stabilisca se stiamo facendo bene oppure male, se siamo stati buoni o cattivi, se siamo diversi e quindi potenzialmente pericolosi oppure se rientriamo nei canoni prevedibili e rassicuranti del cittadino modello.
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