Destrutturare e disassemblare tutto quello che ci circonda e che pensiamo sia utile o necessario per vivere adeguatamente e trasformarlo in un suggestivo, a tratti ripetitivo, a tratti inquietante, a tratti estraniante, flusso di sonorità elettroniche, nelle quali l’elemento umano, rappresentato soprattutto dalle voci e dai suadenti intrecci armonici di Alan Sparhawk e Mimi Parker, sembra, irrimediabilmente, destinato ad affogare.
Ad una prima lettura sembrerebbe, quindi, che i Low vogliano trasmetterci e raffigurarci, musicalmente, tutta l’impotenza dell’uomo contemporaneo dinanzi allo spietato ed indifferente potere esercitato dalla tecnologia sulle nostre piccole e grandi decisioni; influenzandole, determinandole e privandoci, sempre più, di quell’elemento di imprevedibilità, di emotività e di fantasia che è, in fondo, alla base delle azioni umane.
Ad una lettura più attenta, però, il duo americano ci mostra, invece, come la nostra creatività può plasmare quello che, in fondo, è solamente del rumore artificiale; può piegare alla propria volontà questo enorme insieme di informazioni binarie e dare vita alle interessanti trame di “HEY WHAT”, a questo mondo nel quale i suoni sintetici, elaborati da sofisticati dispositivi elettronici e da complessi algoritmi software, acquistano un’anima. Anima nella quale le esperienze, i ricordi, le suggestioni, le scelte, le opinioni, i riverberi post-rock e folkeggianti dei Low continuano a vivere, a respirare, a trasmettere emozioni ed armonia a chiunque si soffermi ad ascoltare questa musica, andando oltre la surreale tempesta di elettroni che, inizialmente, sembra avvolgerci e confonderci, proiettandoci in un mondo malato e morente dominato unicamente dalle macchine.
Dietro quelle macchine, però, continuiamo ad esserci noi, con i nostri pregi e con i nostri difetti, con le nostre grandi colpe ed omissioni, ma anche con tutti gli atti di eroismo, di solidarietà, di umanità, dei quali possiamo essere capaci. Non è la fine, dunque, è semplicemente un ennesimo nuovo inizio, magari su un piano più astratto ed invisibile, più distorto e strepitante, ma – oltre i loop e il glaciale e dissonante tocco delle macchine – restano i nostri sentimenti, il canto limpido delle nostre voci, l’ordinato equilibrio della natura: una bellezza che nessun computer, per quanto potente, potrà mai replicare.
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