Le atmosfere sfocate di quel crepuscolo emotivo che è “Descent” suonano, appunto, come una discesa nelle più torbide e pericolanti profondità del nostro animo; nel nostro personale inferno, stretto tra la vana ed inutile attesa di una primavera che non arriva – non potrà mai farlo – finché qualcuno tenterà di cambiarci, di renderci conforme ad uno schema, ad un modello o a un’idea che non ci appartengono e che su di noi possono avere solamente l’effetto distruttivo di un artiglio conficcato nella carne viva.
Intanto riverberi shoegaze prendono per mano le artiste americane, donando uno strano e inatteso alone di prezioso ottimismo all’oscurità che, altrimenti, rischierebbe di fagocitare ogni cosa. “The Message” vibra, finalmente, di ritrovata positività; “I Float Alone”, nuda e malinconica, ha ripulito questo vecchio, stanco e contorto cielo dalle nubi che lo infestavano e adesso è il momento di rendere più leggeri, più spontanei, nonché svincolati da norme e restrizioni esterne, questi nostri cuori, eccessivamente appesantiti ed affaticati, insensibili alle parole altrui, alle mani tese ed incapaci di distinguere tra passato e futuro, realtà e illusione, verità e menzogna. Cuori pesanti, convinti, a torto, di essere morti e di non poter mai più tornare a battere e a perdersi nei luccicanti e conturbanti bagliori di “Silver Things”.
Buried In Roses, dal North Carolina, tentano di trovare una cura alla cupa sofferenza dei tempi moderni; non è facile, perché, probabilmente, siamo noi stessi la malattia e ciascuno di noi, se vuole, se si lascia trasportare dalle riflessive e dolci sonorità di “The Shadow”, potrebbe trasformarsi in parte della cura. Sta a noi, in fondo, scegliere il cammino; scegliere se seguire o no le ombre che qualcuno proietta sul nostro sentiero del sentire; decidere se girarci, puntualmente, dall’altro lato o se fissare l’immagine che c’è nello specchio, senza aver paura di romperlo, di farlo in mille pezzi, di riprenderci sia il giorno, che la notte.
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