La memoria è avvenire, è lì che prende vita la nostra personalità; è lì che questo registratore di momenti conserva i nostri ricordi più intimi e significativi e tiene traccia, quindi, della nostra storia. Siamo il risultato di questi nostri ricordi, ma affinché essi possano divenire tali, è assolutamente necessario vivere e godere il proprio presente, prendendosi tutto il tempo che occorre per comprendere, per ascoltare, per spiegare, per crescere, per percepire ciò di cui siamo parte.
Ma oggi, purtroppo, questo non è possibile perché la rete virtuale che abbiamo costruito attorno a noi, alle nostre idee, ai nostri sentimenti, non è stata concepita per approfondire, per conoscere e per maturare, ma semplicemente per “suggerire” schemi, mode, teorie, regole e modelli che durano il tempo di un “like”, di una transizione Amazon, di una faccina sorridente o di qualche fotogramma pubblicato sul proprio social network preferito.
Abbiamo tolto dignità al tempo, lo abbiamo svuotato, rottamato, banalizzato, facendone un eterno e ripetitivo presente; un presente senza più ricordi, senza più memoria e quindi senza più dignità. “Volevo Fare La Rockstar” è un viaggio a ritroso nei ricordi individuali di Carmen Consoli, nei nostri ricordi, ma anche in quelli collettivi di un’intera generazione: ci sono il fragile sole di Novembre; il colore blu delle vecchie divise scolastiche; il sapore delle olive e quello della vaniglia; ma anche la “curiosità d’una ragazza irriverente”; la morbidezza verbale di Bob Dylan; le incoerenze costruttive di Franco Battiato; la nostalgia nei confronti di un mondo che tentava di proteggere i propri sogni, di custodire la propria Storia e di non cedere ai bluff ed alle promesse di un mago burlone di passaggio.
Quante volte lo abbiamo fatto? Quante volte siamo saliti sul suo carrozzone, accomodandoci, soddisfatti, tra Caino e l’uomo nero?
Queste dieci canzoni non sono una guida; non possono spiegarci come sfuggire ai tanti predatori e illusionisti moderni; non possono insegnarci come evitare di smarrirsi in una selva oscura o che qualcuno tenti di importi un copione già scritto. Queste canzoni tentano, semplicemente, di scavare dentro ciascuno di noi, uomini e donne di oggi e di domani, permettendoci di tirare fuori la nostra parte migliore, quella più autentica, quella che si muove più lentamente – proprio come fanno gli alberi – quella che si mette in discussione, che è pronta a scoprirsi, magari a cambiare, che non ha paura di precipitare se ciò significa salvare ciò che ci sta più a cuore, senza preoccuparsi se dovrà rincorrere qualcosa o qualcuno lungo una linea retta ed incontrarlo all’infinito.
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