Il più grande pericolo per l’umanità è quello rappresentato dall’illusione: l’illusione di poter controllare le oscure e misteriose leggi della natura; l’illusione di poter stabilire quale sia il sistema politico, sociale, economico, giuridico corretto e tentare, di conseguenza, di imporlo altrove; l’illusione di essere sempre dalla parte della verità, del bene, della giustizia, di Dio.
E’ evidente, però, che questa distorsione dalla realtà non fa altro che allontanarci gli uni dagli altri, renderci più alienati, più egocentrici, più diffidenti, più agguerriti nel difendere le proprie certezze, gli spazi, le teorie e gli ingranaggi di un sistema che non fa altro che amplificare, a dismisura, queste nostre illusorie, virtuali ed artificiali esistenze, continuando, erroneamente, a confonderle con la vita vera. Prima di ammalarci fisicamente, prima che il virus imponesse isolamento, restrizioni e sfiducia, le nostre menti si erano già ammalate, le nostre anime e i nostri corpi erano già debilitati, avviliti e sfiduciati e la nostra libertà era già stata menomata ed incrinata.
Adesso possiamo vivere ciò che sta accadendo come un’occasione: non dovremmo assolutamente tornare, come si sente dire spesso, ai modelli, ai comportamenti, alle abitudini e agli schemi del recente passato, ma dovremmo abbatterli e riscriverli ex novo. Il lockdown è stato un momento doloroso, ma ha anche incarnato il punto di inizio di nuovi progetti, il tentativo di mettere in pratica nuove idee, proponendo paradigmi alternativi e prospettive diverse. Ne è un esempio questa preziosa e liberatoria suite; è pervasa da sonorità post-rock, è il punto d’incontro tra una dimensione analogica – quella delle nostre passioni, dei nostri sogni, delle nostre intuizioni – e una dimensione di trame e di sfumature elettroniche, che, a loro volta, entrano in sintonia con le ombre, i respiri, gli orizzonti, le albe, i crepuscoli e tutte le flebili voci del mondo che ci circonda.
Un mondo che, durante questa pandemia, abbiamo avuto la possibilità di riascoltare e percepire, come non succedeva da parecchio tempo oramai. E sono stati proprio questi rumori ritrovati e queste percezioni che avevamo sepolto nel nostro primordiale inconscio, a consentirci di riempire, in una maniera differente, quell’enorme e inquietante spazio vuoto che teneva separate e distanti le persone, dando a noi stessi, ai Giardini di Mirò, a chiunque ne avesse la volontà, la possibilità di avere un nuovo e straordinario terreno comune nel quale ritrovarsi e costruire qualcosa che riuscisse a prescindere la materia, il contatto fisico, la geografia dei luoghi e degli spazi e potesse avere un effetto pratico, concreto, reale sulle nostre fragili e spesso illusorie esistenze.
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