Oggi abusiamo di alcuni termini ed uno di essi è sicuramente il termine “razionale”, ma spesso dietro questa parola nascondiamo, semplicemente, la nostra brama di controllo, di supremazia e di possesso; l’idea che l’altro debba avere necessariamente un’utilità, debba essere necessariamente una risorsa per il raggiungimento di uno scopo, perché, alla fine, tutto quello che facciamo o mostriamo deve rispondere ad una precisa legge di mercato, di offerta e di domanda, ed essere in perfetta sintonia con il sistema economico e politico di stampo capitalista al quale abbiamo consegnato le chiavi delle nostre vite.
Viviamo, quindi, in una realtà estremamente arida e sistematica, impersonale e calcolatrice e chiunque ha il coraggio e la forza di riconoscerlo è guardato come una sorta di sciocco Peter Pan; una creatura immatura, futile ed inadeguata a ricoprire un vero e proprio “ruolo” nella nostra società; una creatura destinata, per sempre, a vivere, nonostante gli anni che passano, in una sorta di dimensione irreale e fantastica. E ciò agli occhi di questi giudici auto-nominati è ovviamente una colpa assai grave, una colpa alla quale i Gustaf rispondono con le sonorità sarcastiche, ironiche e sprezzanti di “Mine”, lanciando il nuovo album nel familiare solco delle loro trame ed atmosfere intrise di punk spigoloso, minimale e stradaiolo e utilizzando, contemporaneamente, il loro grezzo e giocoso umorismo per evidenziare come le scelte che hanno davvero un senso ed una logica non siano solo quelle che guardano solamente al denaro, al successo sociale o all’apparenza estetica, ma sono, soprattutto, quelle che puntano al benessere spirituale delle persone comuni, liberandole dalle gabbie nelle quali sono state rinchiuse.
Chi è, dunque, ad essere troppo vecchio o troppo strano o troppo sciocco o troppo infantile per non poter discutere di ordinamenti economici, storture politiche e coercizioni sociali?
Il vibrante e ballabile punk newyorkese di “Audio Drag For Ego Slobs” è figlio della realtà, quella più cruda, dura e veritiera, quella che non cancella le difficoltà e le sofferenze delle persone per proporre un’estetica artificiale di eterna ed immutabile bellezza e perfezione; quella che è composta da veri discorsi, da vere parole, da vera rabbia, da vero amore, da veri pugni e da veri abbracci, non da quella che è solo una copia effimera di emozioni e sentimenti umani da sfoggiare, quando è il momento, su uno dei social nei quali ci nascondiamo, così che i nostri contatti possano esprimerci la loro approvazione e la loro finta vicinanza.
Ed intanto appassiscono senza rendersene conto, sono vecchi senza saperlo, sono morti senza saperlo, incapaci di seguire le ritmiche abrasive di “Dream”, il flusso delle parole, la rumorosa e nevrotica incoerenza che governa l’universo, il minaccioso ruggito della città, il suo ringhio sincero, i suoi sussurri notturni, i suoi dolorosi addii e i suoi improvvisi e suggestivi incontri.
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