La band tedesca da corpo sonoro all’alienazione dei tempi moderni. Un’alienazione plasmata dalla rete globale che governa il pianeta, la quale, se da un lato crea connessioni informatiche tra luoghi distanti tra loro, dall’altro favorisce la disconnessione delle persone dalla verità. Ciascuno sceglie una propria utile ed appagante versione dei fatti, stabilisce cosa sia vero e cosa sia falso e guarda con diffidenza e fastidio tutti coloro che fanno scelte diverse.
Questo meccanismo perverso favorisce, ovviamente, la nascita di micro-cosmi isolati che, nel nome della propria sicurezza e della propria stabilità economica e sociale, osteggiano e rifiutano qualsiasi apertura verso l’esterno, impedendo ad altre persone – spesso mosse e motivate da orrori e pericoli inimmaginabili – di entrare a farne parte. Si diffonde, in tal modo, l’assurda convinzione che il Male non possa appartenere al proprio micro-mondo, ma debba, necessariamente, provenire da fuori: gli estranei, quindi, sono considerati i portatori del seme della violenza e perciò vengono guardati con sospetto e si cerca, il più possibile, di respingerli ed allontanarli.
Le divagazioni strumentali degli Zahn, pervase da sonorità noise-rock e post-punk spigolose, appassionate e claustrofobiche, incarnano questa disumana follia, si rivolgono ai reietti del nuovo millennio, mentre le chitarre fluttuano in una dimensione buia ed estraniante, i bassi vibrano nella carne pulsante e le ossessioni elettroniche acquistano uno spessore sonico sempre più inquietante ed ipnotico. Ed è così che ci ritroviamo in territori più rarefatti, eterei e psichedelici, ma nonostante questa apparente serenità, le pulsioni distruttive e le ombre che minacciano la nostra sanità mentale sono ancora qui, pronte a nascondersi in qualche angolo remoto dell’universo, della nostra quotidianità o della nostra coscienza ed assalirci quando siamo più soli, più fragili e più indifesi.
L’unica strada possibile, dunque, è quella della contaminazione, della conoscenza e dell’apertura a mondi e suoni diversi ed eterogenei, metropolitani e tribali, onirici e selvaggi, incastonati tra le convulsioni industriali di “Gyhum”, l’eroico passato punkeggiante di “Pavian”, il rumorismo di “Zerrung”, il rock spaziale di “Tseudo”; perché solamente in questo modo potremo vincere la solitudine, potremo essere più forti e fare fronte comune rispetto quella che l’arida ed omologante idea di una società costituita da isole sempre più individualiste, ego-centriche, prepotenti e xenofobe.
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