H.P. Lovecraft ci fornisce un’immagine davvero inquietante: un minuscolo villaggio abbandonato a sé stesso, le sue anime atterrite e tormentate da creature dannate, le quali sembrano essere il frutto delle nostre peggiori ossessioni e delle colpe nascoste nei meandri più bui del nostro passato. Ma, a furia di nasconderle e di nasconderci, esse sono esplose, come esplodono solamente i fiumi della follia. (“Hallowe’en In A Suburb”, H.P. Lovecraft)
E così, quando gli argini saranno completamente abbattuti, non riusciremo più a distinguere, purtroppo, l’amico e il nemico, l’onesto e il bugiardo, l’oppressore e l’oppresso, riservando a ciascuno di loro la stessa indomita furia, la medesima brutale rabbia, finché qualcuno non giacerà, per sempre, inerme sotto l’ombra gelida dell’albero della gratuita malvagità, alla mercé delle sue oscure radici. (“A Poison Tree”, William Blake)
Ogni respiro, dunque, verrà versato; ogni amore verrà consumato; ogni finale verrà scritto; ogni accusa verrà urlata; ogni menzogna verrà smascherata; ogni debito verrà pagato; ogni peccato verrà espiato. E adesso che abbiamo donato ogni colpa ai nostri carnefici cosa ci resta? (“Your Breath Was Shed”, Dylan Thomas)
Forse abbiamo ancora un’altra storia da raccontare. Una storia con lupi e maiali, corvi e scimmie, con uomini che, nonostante il loro enorme potere, finiscono soli e agonizzanti alle porte del cimitero, alle porte dell’incubo, alle porte dell’inferno, alle porte di una nuova, violenta, atroce e inesorabile alba, pronta a sputare altro veleno e ad inaugurare un altro domani. (“The Curse Upon Edward”, Thomas Gray)
Ma chissà se è tutto vero o se siamo semplicemente imprigionati in una oscurità senza luna, in un buio così intenso e profondo che, quando riapriremo gli occhi, piomberà come un macigno sul nostro corpo inerme, entrando in ogni singola cellula, in ogni pensiero, in ogni sussurro, rammentandoci che nessun potere muore e noi, per quanto ci affanniamo, non siamo altro che fragili e miseri animali in catene. (“Darkness”, Lord George Gordon Byron)
E intanto chissà da dove, ci giungeranno sempre le medesime due vuote parole: “no more”, “mai più”. E qualsiasi cosa obietteremo; qualsiasi incantesimo o maledizione o preghiera o canzone o anatema o bestemmia o supplica o sortilegio o invocazione o maleficio noi utilizzeremo come risposta, quella voce gracchiante non farà che ripetere le due identiche parole: “mai più”, “no more”. (“The Raven”, Edgar Allan Poe)
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