Negli ultimi anni il panorama politico e culturale mondiale è stato caratterizzato dal governo dei peggiori, dei più impreparati e dei più incapaci, i quali sono stati chiamati a gestire le grandi sfide sociali, economiche, sanitarie e lavorative che via, via questo mondo globalizzato si trovava avanti. Sono stati, purtroppo e spesso, inefficaci e si sono preoccupati, soprattutto, di difendere gli interessi dei più ricchi e dei più potenti, dimenticandosi di quella maggioranza di persone che sono tenute ai margini, perché così è più semplice controllarle e sfruttarle. Davanti ai nostri occhi sono cresciuti a dismisura, amplificati da internet e dalle tante fake news che girano in rete, i mostri del populismo, dell’intolleranza, del complottismo e dell’ignoranza, i quali sono andati a distruggere ogni ideologia, ogni forma di lotta di classe, ogni tentativo di costruire un mondo più giusto, solidale ed eco-compatibile, arrivando ad imporre quella che è, a tutti gli effetti, come cantano i Pist Idiots, una idiocrazia, ovvero il governo degli idioti.
Un chiaro e forte messaggio politico, quello della band australiana, la quale – in pieno stile DIY – non ha paura di sputare quella che è la cruda verità delle cose, veicolandola sia attraverso le sue incalzanti ritmiche di matrice punk, che attraverso atmosfere più morbide e rarefatte che guardano all’indie e al pub rock.
Vi sono, di conseguenza, diversi momenti in questo disco, ciascuno legato a un particolare stato d’animo, ciascuno rappresentativo di una specifico evento della nostra vita; una vita che pare annaspare nell’acqua torbida di questo sciagurato e idiocratico presente. “Street Fighter” è un brano dalle trame oscure nel quale il groove post-punk sfocia in ambientazioni crepuscolari e malinconiche, che sono consce di un meccanismo di potere che sta, letteralmente, stritolando ogni ideologia, ogni ricordo piacevole del passato, ogni blueseggiante scintilla di vita dai nostri cuori affaticati. Cuori, che in “She Yells Jack” e in “Juliette”, diventano protagonisti, desiderando un ulteriore incontro, uno sguardo comune sul medesimo cielo, una promessa, un appiglio concreto cui aggrapparsi.
Ma è difficile amarsi, sussurra crudele “Screw”, con i suoi suoni spigolosi e veloci, mentre “Into The Red”, con le sue vibrazioni cremisi e desertiche, ci sprona ad andare oltre le linee nemiche che, come surreali visioni, si stanno materializzando dinanzi ai nostri occhi. “Light Up Your World”, triste e maledetta, dolente e consapevole, lascia che le tenebre diventino reali, ce le fa annusare ed assaporare, le lascia entrare nella nostra intimità, incunearsi tra i nostri sentimenti e i nostri pensieri, senza accendere mai la luce, perché questo non è il momento. Questo è il momento di capire, di conoscere, di crescere.
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