Pape Satàn, pape Satàn aleppe.
Questo nostro inferno è un magazzino enorme di merce di ogni tipo, perfettamente conservata e catalogata, pronta per essere inviata in qualsiasi luogo del mondo, mentre uomini e donne si dannano l’anima in orari di lavoro bestiali, perdendo qualsiasi contatto con la propria quotidianità e subendo danni psicologici rilevanti, senza che nessuno tenti, realmente, di cambiare le regole snervanti di questo colosso globale della distribuzione, la cui unica spietata logica di funzionamento è quella del controllo e dei profitti, rendendo il lavoro sempre più tossico, sempre più distruttivo, sempre più nocivo per il corpo e per la mente.
Pape Satàn, pape Satàn aleppe.
Questo nostro inferno è gelido e silenzioso, costituito da miliardi e miliardi di chip elettronici, da processori potentissimi, nei quali, improvvisamente, impulsi luminosi di corrente animano il cuore inerme del silicio, del litio, del germanio, delle così dette terre rare, affinché dall’ultima bolgia dell’ottavo cerchio, quella dei falsari, venga fuori un mondo virtuale e senza tempo, nel quale la sofferenza, la malattia, la stessa morte sono rigorosamente bandite ed è tutto un rincorrere falsi miti di ricchezza, di bellezza e di successo, che, purtroppo, ci rendono solamente più soli, più stupidi, più finti, più cattivi.
Pape Satàn, pape Satàn aleppe.
Questo nostro inferno è dominato da una irrazionale e brutale paura della conoscenza e dalla assoluta negazione e avversione nei confronti di tutto ciò appare strano, lontano, diverso. L’esistenza di culture diverse, di idee diverse, di religioni diverse, di tradizioni diverse, di colori diversi, di modi di vivere diversi, non è considerata una preziosa occasione di confronto e miglioramento reciproco, bensì una pericolosa minaccia alla quale è necessario rispondere con l’intolleranza, la brutalità, la forza, il sovranismo, il cieco e ottuso nazionalismo. L’ultimo passo, ancora una volta, sarà il lager, l’inferno fatto in terra.
Pape Satàn, pape Satàn aleppe.
Questo nostro inferno è un fine pena mai, come un carcere sovraffollato nel quale non c’è e non deve esserci redenzione o pietà, ma solo la consapevolezza di un altro giorno di violenza fisica e mentale, solo la consapevolezza di un abbruttimento infinito che spingerà tutti, siano essi vittime o carnefici, diavoli o dannati, colpevoli o innocenti, guardie o prigionieri, ad essere risucchiati in una eterna spirale di rancore ed empietà che estirperà da ciascuno la propria umanità, rendendoli, in tutto e per tutto, fiere senza un’anima e senza una ragione, fantasmi di carne che passano i loro giorni ad odiarsi l’un l’altro, per poi iniziare puntualmente da capo.
Pape Satàn, pape Satàn aleppe. Vinicio Capossela – nel suo spettacolo commemorativo “Bestiale Comedia”, dedicato al 700° anniversario della morte di Dante – anche ieri sera, nella cornice del Teatro Verdi di Salerno, grazie alle sue canzoni, al suo sottile umorismo, alle sue stimolanti letture della nostra realtà, al toccante omaggio a Franco Battiato, ad una leggiadra e piacevole incursione nelle sonorità dylaniane, ci ha permesso di attraversare il tempo e lo spazio e di guardare nell’abisso oscuro dei tanti inferni che contraddistinguono, purtroppo, il nostro presente. Ma l’obiettivo finale di questo percorso, come per la Divina Commedia dantesca, non è semplicemente quello di atterrirci e toglierci ogni speranza di salvezza, bensì quello di aprirci gli occhi, di renderci consapevoli del dolore e della sofferenza che ci circondano, in maniera tale da affrontare quel viaggio di conoscenza che ci porterà prima verso l’isola del Purgatorio, ossia verso una amorevole riappacificazione con noi stessi e con gli altri. Ed infine, accompagnati dalle suadenti note di “Ovunque Proteggi”, ci condurrà verso quell’agognato e paradisiaco incanto che ci permetterà di essere al sicuro da ogni male.
Questo nostro viaggio, però, affinché possa giungere a perfetto e completo compimento, non deve essere mosso unicamente dalla sete di conoscenza che mosse l’Ulisse omerico, ma, come avviene con Dante e Virgilio, deve essere “benedetto”, ovvero rivolto alla comprensione e al perdono, altrimenti sarà stato tutto inutile: ogni lutto, ogni dolore, ogni malattia, ogni colpa, ogni delusione, ogni rimorso, ogni errore del passato. Ed anche la musica e lo stesso concerto di Vinicio si ridurranno semplicemente a una serata buffa, a una compiacente e dilettevole farsa, mentre, invece, noi, per migliorare, dovremmo abbeverarci all’amaro pozzo della natura umana, eterna, sublime e dannata fonte di peccato e di virtù.
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