Il viaggio emotivo attraverso le nostre vulnerabilità, ma anche attraverso i nostri coraggiosi, anche se rari, atti di rifiuto, di coraggio e di ribellione contro il sistema, iniziato con “Brutalism”; un viaggio che ha messo in evidenza tutti gli odiosi cliché e i meschini luoghi comuni con cui tentiamo di giustificare i nostri comportamenti e le nostre scelte e che ora, in “Crawler” giunge, finalmente, a conclusione: il mostro egoista e individualista è uscito allo scoperto e ora non ci resta che farlo a pezzi, liberandoci da tutte quelle tossiche dipendenze che alterano le nostre percezioni, rendendoci schiavi di qualcuno o di qualcosa che non fa altro che consumarci e rovinarci la vita.
Gli Idles svoltano, dunque, verso ambientazioni sonore completamente diverse, richiamandosi ad atmosfere gotiche e darkeggianti che riempiono di sonorità di matrice noise-rock, industriale e elettronica, le quali donano al nuovo disco un tocco più introspettivo, profondo e riflessivo, che, però, non diventa assolutamente piatto, monocromatico e morboso, perché improvvisi bagliori, carichi di groove e ritmiche punkeggianti, si fanno largo, attraverso le crepe presenti in questo muro di oscurità, rimettendo al centro del discorso il loro familiare umorismo, il loro spirito combattivo e le loro eroiche narrazioni al vetriolo.
Momenti di tensione emotiva, ma anche le atmosfere lisergiche e meditative di “The Beachland Ballroom” che evidenziano quello che è, appunto, un approccio più lunatico, oltre che il desiderio di scavare negli angoli più bui dell’animo umano, laddove siamo più fragili e i nostri demoni personali si trasformano nelle nostre micidiali e mortali dipendenze. Un intento che è evidente, sin dall’inizio del disco, quando gli Idles richiamano, nell’iniziale “MTT 420 RR”, un riff dei concittadini Massive Attack: una vera e propria dichiarazione d’intenti, la volontà di muoversi sul lato oscuro e ritrovare il nostro caro angelo, svincolandoci dai circoli viziosi che, oggi, sempre più spesso, rendono vuote, aride e malate le nostre esistenze.
“When The Lights Come On” continua a muoversi su questo sottile filo di precarietà umana, mente “Car Crash” è il classico pugno nello stomaco, così come “Crawl!” è energica e essenziale attitudine punk che ci sprona a non assecondare il padrone, a non rimanere perennemente inginocchiati, ma a risollevarci e combattere, seguendo le trame catartiche di “Progress”, una sorta di inno motivazionale, prima che “The End”, ossessiva, brutale e metallica, chiuda il disco su un’anima nuda che, dopo aver visto e vissuto l’inferno, urla, con ferocia, il proprio bisogno di risalire, nuovamente, verso il cielo.
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