Le sonorità accattivanti, intrise d’elettronica e indie-rock, di “Unity” ci conducono, inizialmente, sulle coste meridionali dell’Inghilterra e da lì, attraverso gli “acoustic mirror”, ci permettono di arrivare ovunque il nostro stanco e ombroso cuore possa sentirsi, finalmente, libero e a proprio agio.
Gli specchi sonori, strutture di cemento realizzate dall’esercito britannico tra le due guerre mondiali, quando la tecnologia dei radar era ancora in uno stato iniziale di sviluppo, oggi, che la loro funzione bellica è venuta meno, sembrano essere silenziosi e misteriosi portali emotivi in grado di risvegliare i nostri sensi narcotizzati e assuefatti a questa omologante e frenetica quotidianità che impone alle persone medesimi obblighi, stesse opinioni, identici destini.
E invece queste strane e decadenti sculture monolitiche, con lo sguardo perennemente rivolto verso il mare, come se fossero degli Ulisse di pietra che scrutano l’orizzonte alla ricerca della propria strada, ci rammentano che la nostra natura non è quella chiuderci in noi stessi e di guardare esclusivamente al nostro minuscolo micro-mondo materialista, diffidando di tutto ciò che non conosciamo e che quindi ci appare estraneo, bensì è quella di aprirci all’esterno, al mondo, agli altri, di apprendere continuamente e di migliorarci, ampliando, di conseguenza, quelli che sono i limiti fisici e mentali del nostro io.
Già nel video di “Unboud” era, infatti, evidente come i KVB volessero, attraverso stimolanti e fantasiosi giochi di luce e di colore, riportare quelle inermi strutture di pietra ad una nuova vita, invertendo il senso di quello che era il loro messaggio originario – un messaggio di paura nei confronti di una imminente, possibile guerra e quindi di diffidenza e di pericolo verso tutto ciò che provenisse dal mare. Questa visione oscura del domani, adesso, deve essere rimossa dalle nostre coscienze; gli specchi ora emettono trame sonore di matrice synthwave, copiose di riverberi e armonie shoegaze e psichedeliche, che ci spronano a guardare a quello stesso mare come ad una ritrovata fonte di sapere, ad una abbagliante alternativa, ad un futuro migliore.
I paesaggi sonori spettrali disegnati dai sintetizzatori, le ondate improvvise di cupa elettronica, le atmosfere eteree, gli echi darkeggianti, i fulgidi bagliori di speranza ed euforia, rappresentano il contrasto esistente tra un presente che spesso è arido, vuoto e desolante e un futuro nel quale i KVB ci spronano a risvegliare quei sogni che avevamo congelato tra le nuvole, impadronendoci così delle nostre esistenze, altrimenti dovremo rassegnarci a vivere, per sempre, delle copie frustranti ed alienanti di quello che è il medesimo modello artificiale di individuo concepito da un perverso sistema di potere che, in tal modo, garantisce la propria auto-conservazione e il proprio predominio sul mondo.
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