“Taking Me Back” è un turbolento groove di chitarra e synth che cresce via, via d’intensità, come se si trattasse di una serie di bizzarre e improvvise pennellate su una tela che cambia continuamente il proprio colore: inizialmente è candida, luminosa ed elettrizzante, ma un istante dopo ci appare profonda, impenetrabile ed oscura.
Ed intanto le singole pennellate diventano sempre più energiche, sempre più rabbiose, sempre più ossessive, sempre più lunatiche, mentre una accattivante spirale sonora dai riflessi blu ed argentati si impossessa dei nostri sensi addormentati e ci riporta indietro, ad un tempo nel quale era tutto più sincero, più giusto, più facile.
Certo, è sempre così che appare dinanzi ai nostri occhi il passato; probabilmente perché lo epuriamo dalle esperienze peggiori, quelle più deludenti e dolorose, e lasciamo dentro di noi solamente le visioni ed i sapori più rassicuranti: un caffè nero, una voce familiare, un volto amichevole, un momento di festa e di spensieratezza, una luna tutta blu.
Ma se Jack White volesse, invece, riportarci indietro, guardando alla fine della storia, piuttosto che al suo inizio? Se volesse spingerci, magari, a concentrarci su ciò che proviamo adesso, in questo preciso istante, ripensando a tutto ciò a cui stiamo andando inevitabilmente incontro ed a tutto ciò a cui abbiamo colpevolmente rinunciato, non sarebbe meglio, allora, lasciarci alle spalle questo futuro e ritornare ad essere quello specchio argentato che abbiamo contaminato con tutte le nostre nevrosi?
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