Queste narrazioni di buio e di luce mettono in evidenza la capacità degli esseri umani, durante i momenti di maggiore difficoltà e sofferenza, di fare fronte comune e utilizzare il dolore e le esperienze negative che stravolgono l’ordinarietà delle nostre esistenze, per costruire qualcosa di positivo che riesca ad incutere coraggio e fiducia negli altri. E così in un mondo perennemente minacciato da nemici subdoli e invisibili che amplificano le nostre paure più irrazionali, oltre che i peggiori rigurgiti di rabbia, brutalità ed intolleranza provenienti dal passato, Kadavar e Elder uniscono le proprie forze creative per resistere alla tempesta emotiva e realizzare un’opera unica, un’opera di luce che nasce dai meandri più profondi e inquietanti del buio.
Un disco che è pervaso da sonorità riflessive, ipnotiche e progressive-rock, che ci spronano a coltivare nuove idee, nuovi percorsi umani, professionali e artistici, a dare spazio alle nostre passioni più sane e spontanee, quelle che riescono ad unire e mettere assieme le persone, piuttosto che spingerle a restare nascoste nelle proprie case-prigione, in balia dei venti virtuali della rete, i quali, spesso, sono il frutto di visioni dispotiche, assolutiste e arroganti del futuro. Un futuro che si vuole concentrato nelle mani di una pericolosa e ristretta casta di uomini senza scrupoli che considerano il resto dell’umanità semplice merce di scambio, utili risorse da sfruttare per accrescere la propria influenza e le proprie ricchezze, una enorme riserva di tempo, di sentimenti, di idee su cui costruire il proprio consenso: un consenso fondato sulla diffidenza, sull’intolleranza e sulla paura.
Le atmosfere prog riverberano di vibranti passaggi hard & heavy, che ci proiettano in una dimensione spaziale e pinkfloydiana nella quale riusciamo a vedere noi stessi, le nostre vite caotiche e soprattutto quelle mostruose e artificiali tenaglie che ci impediscono di essere liberi e che ci forzano a restare immobili, attaccati, per giorni e giorni, per intere stagioni, agli stessi compromessi, alle stesse menzogne, alle stesse alienanti prospettive. Ogni tentativo di muoversi, di allentare la presa della morsa di ferro sulla carne viva, diventa, infatti, fonte di altra sofferenza e altro dolore, ma ora che le trame psichedeliche di queste sette canzoni ci hanno portato oltre la fisicità delle nostre ossessioni, possiamo scogliere il metallo, frantumare il suo potere coercitivo e ritornare in un corpo che è, finalmente, libero di seguire la nostra volontà, i nostri sogni, le nostre passioni.
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