#10) NINOTCHKA
“Temporalità”
[Recensione]
Acque di un mare le cui onde assumono la forma di un flusso liberatorio di pensieri ed idee, percezioni e ricordi intimi, mentre i sintetizzatori permettono alle nostre emozioni più elementari di sfuggire alle profondità oscure dell’oblio e di ritornare in superficie; di trasformarsi nell’appiglio cui aggrapparsi per non annegare, perché ogni mare può essere compagno benevolo ed amorevole, ma può anche lasciare che la sua parte più distruttiva, più crudele, più rabbiosa e più violenta prenda il sopravvento.
#09) NEW CANDYS
“Vyvyd”
[Recensione]
Cosa c’è dentro di noi? O, più precisamente, chi si nasconde dentro di noi, divertendosi alle nostre spalle e nutrendosi – in silenzio – delle nostre fragili e spesso irrazionali emozioni? Armonie in equilibrio tra le atmosfere piacevoli ed ammalianti di un sogno e quelle più torbide, più disordinate e più travagliate di un incubo; armonie che guardano in profondità, assorbendo le nostre tristezze, le nostre pulsioni e i nostri istinti più spregevoli, in modo da ripulire il nostro cielo interiore dalle nubi della caotica quotidianità e consentire all’io, più autentico e più spensierato, di prendere il controllo.
#08) CARMEN CONSOLI
“Volevo Fare La Rockstar”
[Recensione]
Un viaggio a ritroso nei ricordi individuali della cantantessa siciliana, ma anche nei nostri ricordi, in quelli collettivi di un’intera generazione: prendono forma dinanzi ai nostri occhi il fragile sole di Novembre; il colore blu delle vecchie divise scolastiche; il sapore delle olive e quello della vaniglia; tutta la “curiosità d’una ragazza irriverente”; la morbidezza verbale di Bob Dylan; le costruttive incoerenze di Franco Battiato; la nostalgia nei confronti di un mondo che tentava di proteggere i suoi sogni, di custodire la sua Storia e di non cedere ai bluff e alle vuote promesse di qualche mago burlone di passaggio.
#07) SMILE
“The Name Of This Band Is Smile”
[Recensione]
Avevamo dei sogni. Molto probabilmente li avevamo persino scritti da qualche parte, magari sulla superficie ruvida del bancone di un bar. Sicuramente li avevamo bagnati nelle uggiose serate trascorse per le strade di Torino, di Manchester, di Detroit o di qualsiasi altra città con l’anima spaccata in due. Poi, in un attimo, quei sogni sono stati risucchiati ed inghiottiti da qualcosa che non ha nulla a che vedere con ciò che siamo davvero, ma si tratta di qualcosa che, purtroppo, misuri nell’affitto da dover saldare ogni mese, nelle bollette della luce e del gas, in tutte quelle inutili code, quelle opprimenti scadenze, quelle interminabili attese, quelle ultime occasioni, quelle tangenziali affollate, quei dannati impegni che non si possono più rimandare.
#06) THE DEVILS
“Beast Must Regret Nothing”
[Recensione]
La realtà, la verità, la giustizia sono divinità alle quali abbiamo ormai rinunciato ad offrire i nostri sacrifici, convincendoci che così sarebbe stato più facile dimenticare e voltarsi dall’altro lato; fingere di non sentire il tocco di quelle mani feroci che violentano, quotidianamente, le nostre anime ed i nostri corpi, rendendo queste esistenze sempre più simili a cagne scheletriche. Non facciamo altro che prostituirci ed assecondare queste torbide pulsioni virtuali che si manifestano sotto le sembianze accattivanti di spettacoli, reality show ed aberranti baccanali mediatici che vogliono portarci via la nostra innocenza e la nostra spontaneità.
#05) YOU, NOTHING
“Lonely // Lovely”
[Recensione]
Restare impudenti e sfrontati nell’animo, in grado di oltrepassare ogni convenzione del passato e muoversi, con naturalezza e maestria, tra linee melodiche sfuggenti e dilatate, le quali esplodono, all’improvviso, in nitidi e luminosi bagliori shoegazing, passando dalla irriverente frenesia di chi cerca, a tutti i costi, di ritrovare la propria identità, alle ansie ed alle fobie che ci opprimono dall’esterno; sensazioni alienanti e negative che tramutano i riverberi elettrici e il sognante ritornello di quello che doveva essere solo un sogno nell’oscura cantilena con cui tentiamo di curare e cicatrizzare le nostre dolorose ferite.
#04) LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO
“Trivial Visions”
[Recensione]
Oscillazioni psichedeliche, oscure interferenze metalliche, passaggi cinematici, vibrazioni stoner, mentre, nel frattempo, il rover Perseverance si aggira sulle immense e misteriose distese desertiche di Marte e la nostra perseveranza viene messa a dura prova dal silenzio dell’ennesimo concerto annullato, dai palchi vuoti, dagli inutili slogan elettorali, da una classe politica che sembra più interessata a polemizzare, che fornire soluzioni efficaci o quanto meno a provarci davvero. Sarà, quindi, ancora compito nostro farlo, dare voce al fuoco che arde, entrare in sintonia con gli antichi e crudeli miti del passato, con i miraggi ancestrali, con le colonne sonore sci-fi, con le piramidi e le costellazioni, con quella vibrante e purificante tensione che ci rammenta che siamo vivi.
#03) KOKO
“Shedding Skin”
[Recensione]
Come un sottile ed esile filo d’erba, una creatura che, pur continuando a flettersi e piegarsi, ha l’incredibile capacità di non spezzarsi. Mai. La sua voce è quella di un’umanità che resiste alla rabbia e alla follia; quella della marea che giunge, puntuale e silenziosa, sotto l’occhio attento e benevolo della Luna; quella dell’aria pura ed elettrizzante che si respira dopo una terribile malattia; quella dell’abbraccio di coloro che non offrono pietà, non hanno formule magiche, non cercano redenzione, non provano piacere nel giudicare o nel sentirsi migliori, ma percepiscono, amano e condividono quello che è il nostro invisibile dolore.
#02) A/LPACA
“Make It Better”
[Recensione]
Un tempo nel quale abbiamo rinunciato a qualsiasi diritto, a qualsiasi futuro, alla nostra libertà, alla stessa democrazia, pur di sentirci più “sicuri”, ma, a ben guardare, questa sicurezza, in realtà, non esiste e non è mai esistita. Si trattava solamente di assuefazione nei confronti di una serie di schemi e di modelli sociali, lavorativi ed economici ideati per sostenere un sistema di potere globale basato sull’ingiustizia, sull’arroganza e su una distribuzione profondamente iniqua delle risorse e delle ricchezze del pianeta. Quando riusciremo, davvero, a diradare le nebbie fisiche e mentali che avvolgono le nostre esistenze?
#01) CLUSTERSUN
“Avalanche”
[Recensione]
Al deserto dobbiamo la gratitudine del silenzio. Un silenzio fatto di sale, di solitudine e di sabbia; un silenzio sacro, che è un viaggio muto attraverso le nostre contraddizioni ed i nostri conflitti interiori; mostri ostinati ed invisibili che, agitandosi dentro di noi, fanno sì che il vaso di Pandora al rovescio, nel quale avevamo rinchiuso i nostri sogni, le nostre speranze e le nostre passioni, vada, finalmente, in frantumi, liberando il suo prezioso contenuto tra le morbide e suadenti dune delle nostre anime inquiete, trasformandosi, di conseguenza, in quella scintilla primordiale e selvaggia dalla quale il fuoco liquido della passione può, nuovamente, espandersi e invadere il mondo.
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