E poi gli italiani scoprirono che il blocco energetico che limitava e condizionava, da più di un anno, le loro vite, era una colossale truffa. Erano stati appiedati, umiliati, colpevolizzati, multati, costretti a fare sacrifici terribili e a subire i puntuali e spudorati “appelli patriottici” – pieni di inutile retorica e subdola ipocrisia – dei fantomatici media governativi del terrore, affinché lobby di speculatori finanziari, nonché funzionari statali e politici di governo corrotti, potessero lucrare alle spalle delle persone comuni.
Il petrolio, infatti, in Italia, non era mai mancato, era semplicemente stato stoccato e “dimenticato” nei grandi serbatoi delle raffinerie, in modo che la domanda crescesse esponenzialmente e si potesse aumentare a dismisura il costo della benzina e dell’energia. Ben trenta miliardi delle vecchie lire erano finite in laute mazzette da spartire tra DC, PSI, PSDI e PRI. Le tangenti erano già ben radicate nel sistema politico e economico del paese, come poi scopriremo decenni dopo. Ma, all’epoca, le tensioni internazionali, la guerra fredda, la minaccia comunista alle porte, il terrorismo nero, le brigate rosse, diedero, in pratica, al corrotto sistema politico italiano, tutto il sostegno necessario a non essere travolto dalle inchieste e dagli scandali.
Intanto, in un clima surreale e di forte contrapposizione sociale, scandito dalla crisi del petrolio, dalla crisi dell’auto, dalla crisi dell’energia, dall’inflazione e dall’aumento abnorme dei prezzi dei beni di consumo, dalla proclamazione dello stato d’allarme in tutte le caserme della Repubblica, da governi assolutamente transitori e precari, da un controproducente consociativismo politico, da attentati di matrice nera, gli italiani furono chiamati, nel 1974, ad una decisione storica: il referendum sul divorzio. Un momento fondamentale che sancì il vero ingresso dell’Italia nel XX secolo, liberandola da quell’ideologica reazionaria secondo la quale un’unica dottrina morale, quella cattolica, avesse il diritto di impostare la vita privata, i rapporti di coppia, i legami familiari di un’intera nazione, prevaricando quelli che erano i suoi naturali confini e influenzando le leggi dello Stato.
La vittoria del fronte del NO, nonostante la contrarietà della DC e un atteggiamento abbastanza tiepido del PCI, dimostrò come gli italiani fossero molto più avanti rispetto alla classe politica che li governava. Erano sempre stati aperti all’arte, alla creatività, alla moda, all’architettura, alla pittura, con un carattere pioneristico che portò, in quegli anni, molti musicisti a gettarsi anima e corpo nelle sonorità progressive-rock, creando dei veri e propri dischi di culto che, all’epoca furono, più amati all’estero, dove il pubblico era già abituato alle atmosfere oniriche, lisergiche e sperimentali, che in Italia. Eravamo, comunque, in un contesto storico nel quale movimenti culturali e musicali svincolati dalla massa trovavano difficoltà a far ascoltare la propria voce; la liberalizzazione dell’etere, infatti, arriverà solamente due anni più tardi e se non fosse stato per le prime radio pirata e per le radio estere in lingua italiana (Radio Capodistria, Radio Svizzera Italiana e Radio Monte Carlo) gli italiani potevano ascoltare solo Radio Rai, la radio pubblica, la radio del sistema.
Sistema contro il quale si concentrarono le trame avanguardiste di Demetrio Stratos e degli Area: “Caution Radiation Area“, tra elementi free-jazz, rumorismo minimale e divagazioni psichedeliche, è pervaso da una forte critica all’ideologia capitalista dominante. L’uomo moderno, soggiogato dall’automazione industriale, dal consumismo sfrenato e dall’alienazione metropolitana, verrà risucchiato in una dimensione artificiale nella quale diventerà egli stesso una macchina priva di sentimenti e di emozioni, incapace di pensare e amare liberamente, intrappolata in una sequenza di operazioni ripetitive e omologanti delle quali non può e non deve comprendere il fine reale.
Alla apparente e fasulla dinamicità della cultura capitalista, la quale, in realtà, è staticamente incatenata ad un rigido modello di produzione e consumo di massa, è possibile contrapporre la vera dinamicità del viaggio. Un viaggio inteso come conoscenza di realtà, spazi, tempi e culture differenti; un viaggio scandito dalle trame accattivanti dei sintetizzatori, i quali tentano di trovare l’equilibrio tra sperimentazione e melodia, tra uomo e macchina, tra l’io-analogico e l’io-digitale, conducendo quest’album, “Genealogia” dei Perigeo, a contatto con la nostra essenza più pura, liberandola da tutte le inutili stratificazioni mondane che le impediscono di respirare ed espandersi verso la conquista di nuovi e sconosciuti orizzonti.
Orizzonti che una band italiana, la Premiata Forneria Marconi, riuscì ad allargare al mondo intero, arrivando a suonare stabilmente sia in Inghilterra, che in America, le due patrie naturali del rock. Questo live, “Live In USA“, pubblicato proprio nel ’74, fotografa la band nel suo miglior stato creativo e performativo; purtroppo, successivamente, la fatica accumulata, le tensioni interne, la lontananza dai propri affetti, alcune difficoltà oggettive come il furto dei propri strumenti e soprattutto la scelta di partecipare, una volta tornati in patria, ad un concerto in favore dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, provocarono una sorta di embargo artistico nei confronti del gruppo italiano da parte degli organizzatori di spettacoli dal vivo americani, i quali, essendo per lo più di origine ebraica, non vedevano di buon occhio posizioni politiche a favore della causa palestinese.
Le ingiustizie, le disparità e le contraddizioni erano evidenti; la situazione medio-orientale e le condizioni del popolo palestinese erano solamente una delle tante ferite sanguinanti di un mondo che era afflitto da diversi conflitti di natura geo-politica, economica e sociale. Conflitti che Le Orme sintetizzano nell’alternarsi di momenti più inquieti e vibranti ed altri che, invece, sono più suadenti e riflessivi. L’album “Contrappunti” va, infatti, al di là dell’apparente e tranquilla calma superficiale con cui vogliono irretirci, mostrando quei pericoli che minacciano il nostro stesso futuro: esperimenti e armi atomiche sempre più micidiali – l’India iniziò i suoi test nucleari proprio nel ’74; un clima di insicurezza e di precarietà lavorativa verso il quale partiti e sindacati dell’epoca si mostrano incapaci di offrire soluzioni alternative; un assurdo e violento attaccamento a precetti, norme e ideologie di stampo gretto, maschilista e patriarcale.
L’oscurità trepidante di questi contrappunti emotivi è mitigata dall’intreccio di sonorità progressive-rock e di matrice classica proposte da Quella Vecchia Locanda, il cui album, “Il Tempo Della Gioia“, si propone di edificare un romantico argine poetico che ci difenda dalla spirale di vuoto e d’indifferenza nella quale potrebbero finire le nostre esistenze quando non siamo più in grado di percepire l’armonia e la bellezza della natura che ci circonda. Il vocio malinconico delle foglie, che si smarrisce e si confonde nel vento, rappresenta il suono degli incontri e degli addii, dei momenti più felici e di quelli più dolorosi che ci hanno permesso di crescere, di maturare e di giungere dove siamo adesso, al di là del boato conclusivo di voci, strumenti, suoni e rumori che squarcia ogni gelido e dolente inferno.
Un inferno che è perennemente dietro l’angolo, alimentato dalle menzogne dei falsi profeti mediatici e di spregevoli mercanti, che bramano controllarci, chiudendoci in un labirinto di peccati, di colpe e di punizioni da espiare. Un mondo cupo, opprimente, torbido e brutalmente veritiero quello del Biglietto Per L’Inferno e del suo primo omonimo disco. Autorità politiche, religiose e militari che ci obbligano a vivere nel timore del domani; un domani al quale la band italiana da la consistenza di sonorità progressive-rock e hard-rock che mettono in luce lo scontro interiore che esiste in ciascuno di noi, spesso obbligati, come siamo, ad accettare compromessi che sono, in realtà, evidenti ingiustizie. Ci costringono, nel nome di Dio, della patria, della famiglia, di norme, leggi e regolamenti assurdi a voltarci dall’altro lato, a non guardare il dolore che affligge coloro che ci sono vicini e che si sentono disgustati da questo “sporco mondo idiota”.
Le ambientazioni jazzistiche e orchestrali di “Tilt“, album di Arti & Mestieri, aprono le menti e i cuori alle cadute di stile, alle ambiguità e all’effimero e scialbo narcisismo che contraddistinguono i tempi moderni lasciati in balia di poeti che cantano la vuota e futile falsità di universi sterili e decadenti dai quali non potrà mai giungere qualcosa di buono, mentre le trame candide, pulite e lineari del jazz si mescolano a quelle più grezze, fosche e selvagge del rock, a ritmiche e chitarre, a feedback e riverberi, che ci spronano a non perdere il nostro prezioso tempo, a non restare immobili dinanzi ad uno specchio stregato che non fa altro che deformare la realtà, incutendo paure inesistenti e facendoci credere di vivere nel miglior mondo possibile.
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