“The Runner” è un viaggio sonoro e visuale, intriso di darkwave ipnotica e post-punk, nato nel solco amaro della recente pandemia, quando le nostre esistenze sono state, improvvisamente, congelate e un clima globale di rabbia e di diffidenza ha fatto sì che mostri, che credevamo sepolti dalla storia e dal passato, ritornassero, con ritrovata brutalità e rinnovata violenza, a mettere in pericolo la pace, la sicurezza e la serenità che pensavamo, erroneamente, di aver costruito negli ultimi decenni. Ma, in realtà, queste erano solo bugie, noi eravamo sempre le stesse creature dispotiche, arroganti, prepotenti e frustrate, illuse che la tecnologia, il progresso scientifico e il benessere materiale, potessero, improvvisamente, riportare nel nostro mondo la verità, la giustizia, il rispetto e la civiltà di cui abbiamo, ancora, assolutamente bisogno.
La tavolozza oscura dei Boy Harsher si presta, alla perfezione, a descrivere la nostra essenza turbolenta e le nubi di alienazione ed apatia che si concentrano sui nostri paesaggi urbani. Forse potremmo davvero scappare, se solo sapessimo distinguere la realtà dalle sue rappresentazioni virtuali, se solo sapessimo ritrovare il nostalgico e vibrante romanticismo che rende vividi e sognanti gli otto brani di “The Runner”. Un disco che è la ricerca sonora e visuale di noi stessi, delle nostre narrazioni umane, dei nomi che significano legami, mentre il percorso, tra le accattivanti e malinconiche divagazioni di “Autonomy”, le pulsioni inquietanti e decadenti dell’incipit “The Runner” e le riflessive atmosfere di “Escape” e “The Ride Home”, si dispiega, magicamente, dinanzi i nostri occhi increduli.
Viviamo circondanti dal caos, ci trasformiamo nei personaggi di storie drammatiche di passione e di violenza, cercando di inseguire quei brividi, quelle emozioni, quei sentimenti che, oggi, ci appaiono solamente come finte coreografie, come la ricostruzione artificiale di percezioni che non riusciamo più a provare, di pensieri che non riusciamo più ad afferrare, di visioni che non riusciamo più a sognare. Forse perché le stiamo cercando in luoghi sbagliati, affidandoci a schemi e modelli che si sono dimostrati scatole vuote o credendo che saranno le macchine elettroniche a sorprenderci e salvarci dai noi stessi, da questo processo auto-distruttivo che abbiamo intrapreso, eliminando dalle nostre vite ogni domanda, ogni dubbio, ogni critica, ogni forma di autonomia e di libertà.
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