giovedì, Novembre 7, 2024
Il Parco Paranoico

1976: Ultimo Tango A Parigi. Ma Non A Roma.

“Ma non fatevi illusioni: nell’Italia del 1976 siete soltanto una minoranza in via di estinzione storica, naturale, biologica”. Furono queste le parole che Bernardo Bertolucci scrisse nella sua lettera aperta in risposta alla assurda, malata e bigotta sentenza della Corte di Cassazione che vietava nel nostro paese la visione del suo film – “Ultimo Tango A Parigi” – perché ritenuto essere lesivo nei confronti dei valori morali degli italiani.

Ma a quali valori si riferivano questi magistrati-moralizzatori? Probabilmente gli stessi valori che impediscono, ancora oggi, nel 2022, a distanza di 46 anni, di avviare in Italia un confronto aperto e una discussione seria su temi quali l’eutanasia, la famiglia, le adozioni o le droghe leggere, preferendo che siano preti e giudici a stabilire cosa debba andar bene al popolo, come se non si trattasse di uomini e di donne adulte che hanno guadagnato, spesso con il sangue delle passate generazioni, il diritto di esprimere la propria opinione, di dissentire, di scegliere, di votare.

Il ’76 è un anno oscuro, l’anno nel quale Democristiani e Missini uniscono i loro voti per confermare che l’aborto è un reato. Come sempre le pressioni della Chiesa Cattolica spingono lo Stato verso l’intransigenza e la chiusura. Giudici e politici hanno una tremenda paura del popolo italiano, il quale dimostrerà, proprio attraverso gli odiati referendum, di essere molto più maturo di coloro dai quali, per i soliti giochi di collusione e di potere, era, purtroppo, costretto ad esser governato. Sarà solamente questione di tempo, infatti, perché nel 1981 gli Italiani avranno, finalmente, la possibilità di esprimere la loro opinione, portando il fronte abortista ad una netta e significativa vittoria con una percentuale del 68%, ben oltre le “700.000 puttanelle” delle quali, in maniera volgare, gretta, maschilista e violenta, si sparlava nel ’76.

Intanto anche il rock vive un’epoca di alienante transizione nella quale le spinte più conservatrici sembrano voler prendere il sopravvento. Le lunghe onde del rock’n’roll e della psichedelia, esplose prima alla fine degli anni Cinquanta e poi alla fine degli anni Sessanta, sembrano aver perso la loro forza dirompente e la loro incisività, ma una nuova viscerale rivoluzione è alle porte, determinata a sconvolgere non solo il mondo della musica, ma l’intera società. Una nuova ondata, quella del punk e poi della new wave, che avrebbe travolto le granitiche certezze dello show business degli anni Settanta decretando un nuovo modo di vivere e consumare la musica, secondo cui chiunque poteva imbracciare uno strumento e fondare la propria band.

“In the abudance of water, the fool is thirsty”, è così. “Rastaman Vibration” non ha certo torto. Quando potremmo avere tutto quello che ci serve per essere felici ed essere in pace l’uno con l’altro, ecco che la follia umana tenta di prendere il sopravvento, piegando scienza e tecnologia ai suoi istinti più brutali, solamente per imporre la propria volontà al prossimo e per concentrare, nelle proprie mani sporche di sangue, sempre più potere e sempre più ricchezza, cedendo, quindi, ad una spirale di odio, rabbia ed intolleranza che non potrà avere mai fine. Dunque, quando l’acqua è abbondante, il pazzo ha sete. E noi cosa siamo, se non dei poveri pazzi?

Meglio tornare alla purezza delle origini, alla ingenuità del rock’n’roll più selvaggio e primordiale, sfuggendo al pericoloso e statico materialismo dei tempi moderni che ci rende sempre più vuoti, sempre più frustrati e sempre più annoiati, reclusi nelle nostre casette alla moda a tirare colla, mentre il mondo sta andando, letteralmente, in fiamme, in balia delle assurdità di quelle “teste-pelate” contro le quali si scagliava, spesso, il profeta giamaicano. Apriamo, allora, le dannate porte, abbattiamo, allora, le dannate barriere, spezziamo le dannate catene, perché adesso è il momento di andare oltre: “Hey ho, let’s go!”. Senza che il mondo se ne rendesse conto, dal ventre ossessionato e morboso, sporco ed emarginato di Gotham City era venuto fuori il primo disco punk americano: l’omonimo “Ramones”.

Ed è sempre New York a fare da scenario, tra frequenti tensioni e conseguenti trasformazioni sociali, alle imprese di un altro giamaicano, un dj che vive nel Bronx e che si fa chiamare “Kool Herc”. I suoi “taglia e cuci” tentano di isolare le parti percussive strumentali, la vera essenza del ritmo, le vibrazioni cardiache di ogni canzone, segnando così l’avvento dei primi “break” e, di conseguenza, la nascita di ciò che sarebbe stata l’anima dell’hip-hop che, col tempo, avrebbe attraversato i decenni, diventando, probabilmente, la colonna sonora dei nostri giorni.

Ma la città di New York, eccessiva nell’odio e nell’amore, è anche il luogo / non-luogo dove la poesia, la musica e la vita di Patti Smith si intrecciano: “Radio Ethiopia” è un fuoco che consuma profezie bibliche, visioni oniriche, minimalismo metropolitano, new-wave e beat generation, riempiendo i suoi testi di paesaggi estranianti, di tempi astratti, di allucinazioni mortali, di angeli dannati, di spiriti inquieti, di anime maledette alla disperata ricerca di salvezza e redenzione, mentre lei, la sacerdotessa del punk, trasforma gli istinti più feroci e spietati in una forza benevola e misericordiosa che si abbatte, come un martello, sugli asfissianti e cupi modelli sociali imposti dalla borghesia conservatrice americana, rimettendo le ossessioni e i bisogni di un’intera generazione al centro del proprio discorso artistico, musicale ed umano.

Ed è così che sembra finire il 1976, ma, giunti ad Ottobre e tornati nel vecchio continente, esce un singolo storico, il singolo che inaugura, ufficialmente, l’avvento del punk in Inghilterra: “New Rose” dei Damned, con un emblematico lato B rappresentato da una versione veloce della beatlesiana “Help!”. “Sta davvero uscendo con lui?”, è così, con questa semplice frase ad effetto, che è anche una presa per il culo nei confronti del pop dell’amore a stelle e strisce, che la rosa nera fiorì in un paese che stava facendo i conti con la fine dei suoi gloriosi sogni di grandezza, mentre il partito laburista al governo si dimostrava incapace di fronteggiare l’emergenza sociale ed economica e stava preparando, in pratica, l’ascesa di quel partito conservatore che avrebbe dismesso lo stato sociale britannico, affidandosi a politiche liberiste ed acuendo, ancora di più, il baratro esistente tra i ricchi ed i poveri.

Ecco perché le due semplici parole che Johnny Rotten urlò, prima di presentarsi, alla fine del 1976, al pubblico inglese, possono essere davvero considerate fondamentali per il mondo a venire e non solo per il movimento punk: “Proprio… ora!”. Il punk non era più una forma supersonica di rock’n’roll, non era più una sorta di rifugio alternativo per nostalgici delusi dalla musica attuale, come sembravano voler suggerire, con i loro giubbotti di pelle e le loro scarpe da ginnastica, i Ramones, ma era in grado di contaminare il pubblico con le proprie ideologie, inizialmente di stampo anarchico e nichilista, ma successivamente più spinte verso tematiche e questioni socio-politiche, senza alcun timore reverenziale nei confronti di quella generazione che credeva di aver reso il mondo moderno un posto migliore.

Il tempo è qui. Il luogo è adesso.

Questa è la vera essenza del punk, cha dalla fine per 1976 e per tutto il successivo 1977, avrebbe dato voce ad una working class abbandonata a sé stessa, emarginata e colpevolizzata, stanca dell’eroico sogno del dopoguerra, stanca sia dei laburisti, che dei conservatori, stanca delle istituzioni statali, stanca persino di Dio, che preferiva presentarsi come un anticristo e sconvolge la gerarchia sociale prestabilita, piuttosto che continuare a sopravvivere di stenti e ristrettezze. Il punk è l’uomo nero che risveglia le coscienze sopite di un pubblico amorfo e sessualmente perverso che finge di scandalizzarsi dinanzi ai capelli colorati, alle creste, agli sputi, alle borchie, alle croci uncinate o alle spille da balia, ma poi non ha alcuna esitazione quando si trattava di giustiziare innocenti, di chiudere fabbriche, di negare diritti, di violentare ragazzine, di sparare contro persone alle quali è stata portata via ogni cosa, ad iniziare dalla dignità.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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