Sottili trame elettroniche, atmosfere minimali e suadenti che mescolano sonorità di matrice ambient e krautrock, mentre il mondo circostante si arresta, trattiene il fiato, commisera sé stesso, maledice i propri peccati, congela le proprie promesse e si rifugia in una dimensione monolitica, immobile ed artificiale. Il silenzio, dunque, prende il sopravvento, un manto di neve candida ricopre la terra e l’isolamento si espande dentro e fuori di noi.
Puri nella natura pura ed incontaminata, alla riscoperta di una bellezza fatta di idee, di voci, di suoni e di visioni che, se invocata, se salvata, se compresa, se donata, potrà migliorare non solamente noi stessi, ma l’intera collettività: “The Patience Fader” è questo, è fragile intimità che cerca di aprirsi un varco nel crepuscolo asfissiante e virale dei tempi moderni così claustrofobici e così malati.
L’armonia assume la consistenza di una chitarra brillante, di vibrazioni che sono sia fisiche, che policromatiche, che mentali, mentre i toni ampi e rilassanti del disco ci offrono un percorso alternativo alle chiusure, alla sfiducia ed alla rabbia che hanno contraddistinto gli ultimi due anni di pandemia. Possiamo liberarci da questa bolla virtuale, che, se da un lato ci fa sentire, apparentemente, più sicuri e protetti, dall’altro risucchia tutta la nostra umanità, rendendoci sempre più egoisti e diffidenti, incapaci di sentire il dolore e le necessità degli altri, concentrati solamente sul proprio presente.
Pan-American è, invece, tutto il resto, tutto quello che pensavamo di dover estromettere e cancellare dalle nostre vite: prospettive future, spazi sconosciuti, orizzonti comuni, tempi differenti. Ogni cosa assume la pacifica consistenza di queste trame soffici, di dissolvenze e riverberi che dilatano i nostri sensi, amplificano le nostre sensazioni, permettendoci di catturare essenze, ombre, fantasmi, riflessi, echi che, normalmente, ci sfuggono, pur essendo parte delle forze invisibili che permeano l’intero Creato.
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