Noi non siamo fatti di marmo, non siamo statue che congelano, per sempre, il proprio presente, anche se viviamo in una società che vorrebbe cancellare l’invecchiamento, il dolore, la malattia, la morte e rendere eterni i suoi miti ed ideali di effimera bellezza. Cor Veleno e Tre Allegri Ragazzi Morti affondano le proprie radici nel secolo scorso; sono intrisi, musicalmente e concettualmente, di anni Novanta, ma, allo stesso tempo, il loro incontro è, invece, estremamente attuale, capace di individuare le frontiere emotive e percettive sulle quali, oggi, sacrifichiamo i nostri sogni, dimentichiamo le nostre promesse e consumiamo le nostre passioni.
Una dimensione che è sempre più un manicomio virtuale in perenne movimento; ci sembra di andare chissà dove, ma, poi, in realtà, scopriamo che il nostro folle treno è intrappolato in un circolo vizioso, un cerchio dolente immerso nel cuore della periferia metropolitana romana o laddove questo sciagurato paese finisce, non importa dove. Ciò che conta è che continua a percorrere le stesse frasi fatte, gli stessi cazzi, gli stessi luoghi comuni, la stessa rabbia, lo stesso crudo orrore quotidiano. Si tratta di un loop virtuale e confusionario per sfuggire al quale servirebbe il vero coraggio, quello delle proprio scelte, non l’adozione implicita ed automatica di comportamenti, di azioni e di atteggiamenti suggeriti, pubblicizzati e subdolamente imposti dall’alto.
Il rap e l’hip-hop, in tal senso, possono aiutarci a riaprire le porte mentali che abbiamo, erroneamente, sbarrato: quella del coraggio, in primis, e successivamente quella della dignità, un termine del quale si abusa troppo spesso, soprattutto in riferimento alle attuali politiche del lavoro; politiche incentrate sulla frammentazione e sullo scontro tra i lavoratori, a causa dell’adozione di modelli neo-liberisti di produzione e di consumo che privilegiano la precarietà, la diffidenza, la paura, lo scontro sociale, scoraggiando qualsiasi azione di rivendicazione collettiva e sposando, invece, la strada degli accordi individuali, dei facili compromessi, del proprio smisurato ego e dei propri comodi salotti. Che importa, se, attorno a noi, ogni cosa sta crollando?
L’essere umano sta fottendo sé stesso, crede che ogni cosa sia risolvibile con una nuova ricerca di mercato, mentre i decibel della propaganda mediatica affossano i nostri cervelli in metastasi e tutti noi, come zombi funkeggianti, preferiamo sprofondare nella merda delle solite prediche e delle assoluzioni ordinate su Amazon. Ci bombardano con le loro menzogne, ci convincono che ne sanno di più, che sono più preparati, che sono più informati, spronandoci, di conseguenza, ad accettare ogni ingiustizia e ogni violenza, nel nome delle loro teorie e delle loro soluzioni. Ma, intanto, si prendono il nostro tempo; ci impongono i loro controllori, i loro giudici, i loro carcerieri, le loro guardie e i loro padroni; ci obbligano ad accettare le loro guerre, i loro incubi e le loro ossessioni. Ma che ci vuole a capire che sono tutte sbagliate? Di cosa stanno parlando? Di quali informazioni o verità continuano a vaneggiare? Si accipigliano, sbraitano, strepitano, rinchiusi nei loro fastidiosi talk-show, mentre il mondo – quello reale – è sempre più vicino al baratro dell’annientamento nucleare.
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