domenica, Dicembre 22, 2024
Il Parco Paranoico

The Clash [1977], The Clash [45 anni]

I Clash avevano un piano che andava oltre la visione nichilista, furiosa e ghignante dei Sex Pistols, ben al di là delle irriverenti e teatrali follie dei Damned. Guardavano sia alla purezza originaria, selvaggia e ruggente del rock’n’roll primordiale, che alle frustrazioni della classe operaia, consapevoli del fatto che la loro musica avrebbe potuto catturare il disordine, l’indignazione e la rabbia di cui trasudavano le strade inglesi del 1977, ma, allo stesso tempo, era evidente che il messaggio politico racchiuso nei loro testi, le ritmiche accattivanti e frenetiche, il saper leggere ed intercettare le emozioni, le necessità, i sogni e le diverse sensibilità di una nuova generazione, li avrebbe resi parte attiva di quella che non era solamente una rivoluzione musicale radicale, ma anche e soprattutto una rivolta sociale ed economica.

Una rivolta che avrebbe fatto, purtroppo, le sue vittime innocenti, schiacciate dalla brutalità e dall’arroganza di quel sistema liberista che proprio tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, facendo leva sui fantasmi e sulle minacce di una guerra nucleare, forte dell’abbraccio tra Margaret Thatcher e Ronald Reagan, stava trasformando il mondo intero in un unico mercato globale; un mercato che non sarebbe più stato soggetto agli interventi statali o alle regole dei governi, ma avrebbe risposto solo alle sue due uniche leggi, quella della domanda e quella dell’offerta.

Da un lato, dunque, c’era il punk, con la sua forza caotica, dirompente, arrogante e ferocemente distruttiva, dall’altro lato c’era una classe dirigente, silenziosa, subdola ed astuta, che stava imponendo la sua egoistica e diseguale visione del mondo, favorendo le privatizzazioni e una drastica riduzione delle spese sociali, tagliando fondi e risorse per il sistema sanitario, scolastico, pensionistico e, contemporaneamente, riducendo le tasse e gli obblighi fiscali per i più ricchi. Tra i gruppi punk della prima ora, i Clash furono quelli che, probabilmente, intuirono meglio ciò che stava accadendo e spinsero il movimento punk verso un ruolo politico costruttivo ed attivo; una posizione netta e precisa che li spingeva a criticare le politiche interventiste americane (“I’m So Bored With The USA”), ad urlare le proprie rivendicazioni sociali (“Career Opportunities”), ad incanalare la rabbia individuale in azioni, scelte, atteggiamenti e comportamenti collettivi (“London’s Burning”), perché solamente in questo modo il punk sarebbe riuscito ad uscire dai ghetti, dalle periferie, dai club underground e dai garage (“Garageland”) nel quale le élite della musica, della politica o dell’economia tentavano, in tutti i modi possibili, di marginalizzarlo, facendo sì che i loro media lo descrivessero al grande pubblico solo come un movimento violento, rozzo, stradaiolo, cattivo e pericolosamente incline a derive ed idee di stampo razzista, nazista e fascista.

I Clash, invece, non solo permisero al punk di rompere l’accerchiamento intransigente dei poteri forti, ma, sin da questo primo album, mostrarono che la strada vincente era quella di respingere l’isolamento musicale, rompendo, di conseguenza, gli schemi mentali dominanti e facendo della diversità culturale la vera forza motrice del movimento: in “Police And Thieves”, ad esempio, l’energia dirompente e punkeggiante di “White Riot” evolve e riesce ad inglobare e amplificare sonorità provenienti dal mondo reggae e da quello dub, abbracciando e facendo propria l’idea di una Gran Bretagna e di un mondo che potesse essere sia musicalmente, che filosoficamente, che socialmente, multi-etnico e muti-culturale, un mondo nel quale la diversità non fosse più sinonimo di pericolo, minaccia o paura.

E così l’omonimo esordio della band inglese, l’8 Aprile del 1977, con la sua copertina incisiva sulla quale tre giovani sfidano senza timore il mondo intero, mentre, sul retro, la polizia inglese si lancia nell’ennesima carica contro una sommossa popolare, porta alla ribalta questo che è, ormai, un album leggendario, capace di unire le ferite, le rivendicazioni e la disillusione del movimento giovanile del ’68, con le rivolte del carnevale giamaicano di Notting Hill del ’76 e soprattutto con la visione etica, sociale e politica di Joe Strummer, il quale continua a chiedere a tutti noi, con la sua voce tagliente, di risvegliarci dal sonno borghese e narcotizzante di “White Riot”, domandandoci se stiamo continuando a prendere ordini o se stiamo, finalmente, procedendo nella direzione giusta e quindi se riusciremo, davvero, a fuggire dalle periferie relazionali ed emotive nella quali tentano di inebetirci. Avremo il coraggio di opporci, di resistere e di combattere queste loro leggi ingiuste, discriminatorie e profondamente materialiste, anche a costo di perdere e rimetterci in prima persona (“I Fought The Law”)? 

I Clash, amici, the only band that matters.      

Pubblicazione: 8 aprile 1977
Durata: 35:14
Dischi: 1
Tracce: 14
Genere: Punk
Etichetta: CBS Records
Produttore: Mickey Foote, Bill Price
Registrazione: febbraio – marzo 1977

Tracklist:
1. Janie Jones
2. Remote Control
3. I’m So Bored with the U.S.A.
4. White Riot
5. Hate & War
6. What’s My Name
7. Deny
8. London’s Burning
9. Career Opportunities
10. Cheat
11. Protex Blue
12. Police & Thieves
13. 48 Hours
14. Garageland

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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