Le trame dei Tenebra sono bagliori lampeggianti in una notte profonda, luci policromatiche che illuminano, improvvisamente, il fondo delle nostre anime, mostrandoci quello che è il vero orrore nascosto nel buio: nessun demone, nessuna creatura immonda, nessun mostro da sconfiggere, ma semplicemente il vuoto; un vuoto silenzioso che, subdolamente, si cela dietro le conquiste tecnologiche, dietro le comodità offerte dal progresso, dietro la miriade di dispositivi elettronici collegati tra loro, in rete, e che, fingendo di contribuire alla nostra sicurezza e alla nostra pacifica e fasulla felicità, non fanno altro che amplificare il nostro senso di smarrimento, le nostre difficoltà a comunicare con gli altri, la nostra immensa solitudine, i nostri disturbi fisici e mentali, la nostra insana diffidenza e tutte le nostre pericolose paranoie.
“Moongazer” affonda in un passato eroico, in sonorità corpose e magmatiche, nella sfacciata disinvoltura dell’hard-rock, nell’umanità primordiale del blues elettrico, nelle fantasie e nelle divagazioni lisergiche del rock psichedelico, le quali danno, alla nostra anima brulla, la possibilità di seminare nuovamente i propri sogni e le proprie passioni, consentendoci, oggi, nel nostro presente, svincolati da quello che resta un mitico e irraggiungibile passato, di ritrovare la libertà che abbiamo, stupidamente, perduto. E non perché qualcuno ce l’abbia sottratta con la forza o con la violenza, ma, semplicemente, perché noi stessi vi abbiamo rinunciato, vuoi per paura, vuoi per pigrizia, vuoi per utilità, vuoi perché spinti dalle promesse di modelli esistenziali che non sono affatto naturali, che non hanno alcunché di umano e che sono solamente la vera faccia del sistema mediatico di impronta neo-liberista che tenta di condizionare e manipolare le nostre azioni e i nostri comportamenti.
“Winds Of Change” ci rammenta tutti gli orizzonti che avremmo potuto scrutare, tutte le diverse strade sulle quali ci saremmo potuti incamminare e magari smarrire, sospinti dal fragore appassionante di “Carry My Load” o dai riverberi onirici di “Space Child”, sentendoci davvero liberi di seguire le nostre idee, i nostri sentimenti, le nostre percezioni o i riff taglienti ed i bassi profondi di “Stranded”, in attesa di ritrovare la voce della nostra coscienza narcotizzata, i sussurri dello sciamano magico di “Dark And Distant Sky”, il quale altri non è che il nostro io più istintivo, più onesto, più puro e soprattutto più veritiero. L’io-spirituale che avevamo zittito e dimenticato, sotto strati e strati di teorie, di assiomi, di schemi, di postulati, di teoremi globalizzanti che non hanno assolutamente nulla a che vedere con la vita, quella reale, quella concreta, quella fatta di incontri, di amori, di delusioni, di perdite, di cadute, di speranza e di inattesi e preziosi ritorni.
Tutto ciò non è solo un affascinante revival di sonorità degli anni Settanta o il banale desiderio di ribellione insito negli anni Sessanta, ma è un viaggio attuale al di là delle apparenze virtuali del mondo contemporaneo, un viaggio scandito dagli spiriti benevoli dello stoner rock e della psichedelia, dentro e fuori di noi, oltre il cosmo e i suoi oscuri fantasmi, oltre le ombre alienanti che bramano fagocitare la nostra umanità, desiderose di renderci tutti ugualmente tristi, tutti ugualmente coinvolti, tutti ugualmente compromessi, tutti ugualmente prevedibili, tutti ugualmente schiavi.
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