Pace. Amore. Pop.
L’apice acido e psichedelico della civiltà occidentale, che, negli anni Sessanta – nonostante la guerra fredda in atto tra USA e URSS, nonostante le innumerevoli ingiustizie sociali, economiche e politiche globali e nonostante gli orrori perpetrati in Vietnam – riuscì ad ottenere importanti conquiste, dal punto di vista dei diritti civili, e cambiare, radicalmente, il modo di pensare e di interagire delle persone comuni.
“Sgt Pepper”, con la sua bizzarra idea di presentare la band come alter-ego o alias di sé stessa, con i suoi effetti lisergici, con il suo stile carnavalesco, con i suoi richiami all’Oriente, con l’apertura ad un mondo sonoro assolutamente irriverente e popolare, rispetto a quelli che potevano essere considerati i canoni della musica più seria e istituzionale, rientra, perfettamente, in una visione policromatica, surreale, onirica, immaginifica e controcorrente del mondo, tentando di liberarlo, anche attraverso una lettura derisoria e canzonatoria della realtà, da ogni pericolosa ossessione e da ogni ingiustificato preconcetto. La Lonely Hearts Club Band è l’antidoto contro la depressione e contro l’eccessiva nostalgia del passato, la quale, allora, come avviene anche oggi, nel nostro più ipocrita e bacchettone presente, può tramutarsi nel modo con cui i poteri forti tentano di re-introdurre idee malsane, violente e pericolose, già sconfitte dalla storia, con il solo egoistico obiettivo di rafforzare e rinsaldare il proprio potere, la propria influenza e quindi le proprie ricchezze materiali. Non esisteva, dunque, nessun luogo migliore di Las Vegas, dove la band gemella avrebbe potuto imbastire il suo luccicante, peccaminoso, allucinato e appassionante show.
Sin City è lo scenario ideale per esprimere tutta la tensione e la frustrazione accumulata dalla band e, in generale, da tutti coloro, artisti e non, che si sentono derubati della propria onestà e della propria autenticità da un sistema tentacolare che impone modelli di bellezza, di perfezione, di esistenza, di appagamento a cui tutti debbono, per forza di cose, adattarsi e adeguarsi. In tal senso l’album dei Beatles è profondamente attuale, perché noi, oggi, siamo completamente immersi e assuefatti a questi meccanismi virtuali che ripagano la perdita della trasparenza e della verità con comodità, lussi, attenzioni, servizi e privilegi di ogni tipo.
Una sorta di cattività che, come nel caso dei Fab Four, non può portare che verso la frantumazione, non prima, però, di liberare tutti i propri inquietanti mostri e fantasmi ovunque vi sia qualcuno che si sente in dissintonia con lo status quo vigente, con l’eterna ed effimera estate e vuole provare una disperata, veemente, catartica, avventurosa e romantica fuga verso un’altra dimensione esistenziale, che, dietro i suoi alberi di mandarino, i suoi cieli di marmellata, le sue ragazze con occhi caleidoscopici, i suoi fiori di cellophan gialli e verdi, i suoi diamanti vagabondi, non vuole fare altro che esprimere tutto il nostro fastidio, la nostra insoddisfazione e il nostro malessere verso un sistema disumano, insensibile e indifferente che considera l’individuo alla stregua di una risorsa materiale da controllare, manipolare, sfruttare e gettare via, quando non è più utile, quando si guasta, si rompe o si ammala.
Pubblicazione: 1 giugno 1967
Durata: 39:43
Dischi: 1
Tracce: 13
Genere: Pop Psichedelico, Pop Rock
Etichetta: EMI
Produttore: George Martin
Registrazione: dicembre 1966 – aprile 1967
Tracklist:
1. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
2. With a Little Help from My Friends
3. Lucy in the Sky with Diamonds
4. Getting Better
5. Fixing a Hole
6. She’s Leaving Home
7. Being for the Benefit of Mr. Kite!
8. Within You Without You
9. When I’m Sixty-Four
10. Lovely Rita
11. Good Morning Good Morning
12. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Reprise)
13. A Day in the Life
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