Non aver paura delle proprie idee, anche se il mondo del terzo millennio – purtroppo – è ancora pieno di regimi e sistemi che si basano sui manganelli, sui proiettili, su tutori della legge che premono il proprio ginocchio sul collo di un uomo inerme e indifeso, solo perché ha la pelle di un altro colore. Questa è la strada sul quale si incammina l’ultimo album di The Brian Jonestown Massacre, un album che facendo leva sulle sue sonorità rock primordiali, di matrice blues, country e psichedelica, vuole spronare ciascuno di noi a seguire la voce della propria coscienza, il cui fuoco continua ad ardere nelle profondità di questa civiltà che usa la tecnologia e il progresso scientifico per nascondere i propri tratti dispotici e anti-democratici.
“Fire Doesn’t Grow On Trees”, appunto, il fuoco non cresce sugli alberi, ma è dentro di noi e la musica, con i suoi fuzz, le sue distorsioni, l’intreccio onirico di tastiere e chitarre, la policromia ritmica di basso e batteria, può contribuire a portarlo fuori e far sì che esso possa ridurre in cenere questo sistema nel quale un uomo muore perché gli impediscono di respirare, nel quale si tollerano – nel nome della libertà o della democrazia – guerre e violenze, nel quale vengono cancellati diritti costituzionali che esistevano da cinquant’anni, solo perché alcune persone pretendono di decidere per ciascuno di noi, imponendoci, con brutale prepotenza, la loro ristretta, paternalistica e reazionaria visione del bene, della giustizia, dell’amore, del lavoro, di Dio, della famiglia.
Questa è la bestia che dobbiamo combattere, un mostro che vuole manipolare e controllare le persone, costringendole ad accettare un’unica verità, nonché una visione grigia e malata dell’esistenza, costruita attorno a ciò che potremmo definire l’homo aeconomicus, un individuo i cui unici obiettivi sono la produzione, l’acquisto e il consumo; un essere imprigionato in una ragnatela di modelli di bellezza, di felicità, di piacere, di appagamento che sono il frutto di algoritmi virtuali e disumani che cancellano ogni imperfezione, ogni critica, ogni debolezza, ogni dissenso.
L’approccio lisergico e turbolento di questo disco, invece, ci offre una prospettiva opposta, le sue imperfezioni lo rendono vivido e pulsante, le sue debolezze si trasformano in passione, mentre critiche e dissenso sono l’antidoto naturale ai veleni del neo-liberismo, alle nuove forme di sfruttamento e colonialismo, a quella lettura ipocrita della realtà che non ammette sfumature, ma pretende di stabilire, in base ai propri interessi di parte, il bene e il male, il bianco e il nero, il vero e il falso. The Brian Jonestown Massacre, attraverso le sue trame acide, intrise di space-rock ed elettricità, è la risposta pacifica all’odio, un invito sonoro a prendere le distanze da questo sistema che predica distacco e indifferenza, tentando di spegnere il fuoco che sussurra, da sempre, ai cuori ed alle menti.
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