Quando è iniziato il declino? Quando abbiamo rinunciato al ruolo attivo di cittadini e ci siamo accontentati di essere degli utenti passivi, facendoci convincere del fatto che un’unica legge, quella del mercato globale, fosse più efficiente, più comoda e più conveniente di costituzioni, il più delle volte ottenute con il sangue e i sacrifici delle passate generazioni, e determinando, nei fatti, il declino delle nostre democrazie, sempre più prigioniere di organismi di potere sovranazionali che non sono assolutamente interessati al benessere fisico e psicologico delle persone comuni, ma solamente a difendere i propri privilegi e, di conseguenza, a favorire un modello iniquo di sviluppo e di suddivisione delle risorse, delle ricchezze e delle opportunità.
Attratti dal mito della società fluida, tecnologica e dinamica, abbiamo, in realtà, svenduto il nostro futuro, trasformandolo in un eterno tempo-fantasma, cupo ed estraniante, al quale la band londinese dona la consistenza sonora delle proprie trame goth-rock, delle proprie ritmiche oscure e ossessive, dei propri riff spigolosi e dolenti, per esprimere, con drammatica naturalezza, i sentimenti di un mondo divisivo e decadente, cattivo ed ostile, arrabbiato e infelice; un mondo incapace di immaginare scelte, azioni e giorni diversi, ma condannato a rivivere, per sempre, le stesse tragedie sociali, le medesime dannate guerre, le identiche ingiustizie.
I Crows arricchiscono questo scenario morboso con le loro sonorità teatrali, punkeggianti ed istintive, mentre una pioggia malata, gelida e sferzante, non risparmia nemmeno Dio, ma l’orrore più grande è rappresentato, ormai, dalla nostra insensibilità dinanzi al dolore e alle sofferenze altrui.
Abbiamo cancellato persino la morte, fingendo di poter vivere nel mito virtuale di una bellezza senza fine, mentre brani come “Garden Of England”, “Healing” o “Only Time” ci rammentano quelle urla silenziose, quelle che abbiamo confinato nei meandri più profondi delle nostre coscienze; impossibilitate – a causa dei nostri compromessi e delle nostre ambiguità – a traovare spazio all’esterno. Finché, però, il peso delle frustrazioni e delle ansie accumulate, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, non provoca la rottura del muro di gomma che impediva alle nostre vere emozioni di riversarsi verso gli altri. Amici e nemici, servi e padroni, vittime e carnefici, pecore e maiali, tutti dovranno assaporare il rumore del nostro malessere, reso ancora più atroce dalle decisioni dei nostri governanti, i quali non sanno fare altro che rompere, dividere, ghettizzare, vietare, isolare, nascondere, mentire, inventarsi un milione di Brexit, pur di non dover fare i conti con la realtà dei fatti e degli eventi, prima che “Sad Lad” metta fine, in maniera originale ed onirico, a “Beware Believers”, un album politico, un album del quale c’era davvero bisogno.
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