giovedì, Dicembre 26, 2024
Il Parco Paranoico

The Piper At The Gates Of Dawn, Pink Floyd [55 anni]

Un album pervaso da una luminosa purezza, ma anche da una profonda malinconia, le quali, intrecciandosi tra loro, danno vita a collage sonori imprevedibili, giocosi, introspettivi, bizzarri e sperimentali, dai quali emergono le diverse anime che caratterizzano questo lavoro: un’anima legata alle sonorità più acide e psichedeliche che erano esplose a Londra, alla fine degli anni Sessanta; un’anima pervasa dagli studi architettonici, attenta, di conseguenza, alle forme, alle proporzioni, alle leggi fisiche dello spazio e del tempo e soprattutto ai necessari equilibri tra le parti; ed infine un’anima irruenta e tormentata, attratta dal mondo oscuro delle fiabe e delle favole, bramosa di trovare la connessione perduta con le leggende e i miti del passato più ancestrale e primordiale dell’umanità, quell’epoca d’oro nella quale eroi, ninfe, fauni, demoni, satiri e altre creature fantastiche vivevano tra noi.

Intanto “Astronomy Domine” spinge il nostro sguardo verso i misteri dell’universo, una voce amplificata e resa disumana annuncia la partenza di alcuni voli spaziali, per poi perdersi in un brano che la band rende volutamente inquietante e distaccato, come se fosse l’opera di esseri artificiali, androidi che stanno tentando di recuperare e comprendere l’energia vitale della poesia e della musica, prima che l’oblio le cancelli, così come è stato per gli esseri umani, spazzati via dalla loro follia e dalla loro arroganza, dalla falsa e pericolosa convinzione di poter dominare, con prepotenza, le leggi della natura e dell’universo.

La scena, nel frattempo, cambia improvvisamente: la stega Jennifer Gentle e il gatto Lucifer Sam fanno la loro irruzione in scena, accompagnati da sonorità che ricordano il mondo fumettistico di Gotham City e proiettando le fantasie barrettiane verso i nostri ricordi infantili, le nostre paure segrete e tutte le passioni che abbiamo, precocemente, abbandonato, per poi trasformaci in ottusi e arrabbiati adulti-zombi, in creature dalle menti sterilizzate, incapaci di avvertire quanto possano essere creativi, ma anche spaventosi, preziosi, ma anche distruttivi, i propri sogni e i propri incubi.

Il dio-bambino, ormai solo ed abbandonato, si perde nei meandri eterei di “Flaming”, immagina di scivolare via tra le stelle del cielo, di perdersi nei suoi giochi innocenti, dichiarandosi del tutto estraneo ed avulso a quella che la nostra triste e pesante realtà; una realtà fatta di alienanti e minacciosi meccanismi di realizzazione ed appagazione individuale, basati solamente sul lavoro, sul potere, sull’apparenza e sulla ricchezza, senza alcun interesse per le armonie astrali che ci sovrastano, per le dolci e fuggenti melodie in grado di insunuarsi in ogni nostra cellula e rendere possibile la vita su questo e su altri pianeti.

La visione più feroce e drammatica del mondo reale, in  netta contrapposizione con le suadenti e accattivanti fiabe barrettiane, emerge, in tutta la sua forza e la sua determinazione, nella watersiana “Take Up Thy Stethoscope and Walk”, l’inverno sonoro che si abbatte sull’estate immaginata da Syd Barrett, facendoci sprofondare, tutti, in un mare di merda, di rabbia e di violenza.

La risalita dalla dimensione delle ombre avviene, ancora una volta, affidando le proprie emozioni e le proprie percezioni sensoriali al cielo; lo space-rock di “Interstellar Overdrive” apre le porte di questo nostro universo ad altre creature fantastiche: è la volta di Grimble Gromble, lo gnomo-acido che esorta la band a scrutare il proprio futuro, a chiedersi se stia percorrendo la strada giusta, a consultare – in “Chapter 24” – l’antico manuale di divinazione cinese, mentre dalla nebbia emergono i suoi demoni interiori, le sue insicurezze giovanili, i fantasmi auto-distruttivi che bramano ridurre a pezzettini Syd, il quale, ignaro e sfacciato, ma allo stesso tempo ironico ed onesto, chiude il disco con un brano surreale e clownesco – “Bike” – nel quale mette in versi i nostri naturali bisogni quotidiani, quelli più semplici e più diretti, innanzitutto quell’amore e quella fiducia che potrebbero salvarci dalla dannazione capitalista e così evitare che le nostre esistenze vengano catturate dagli istinti più perversi, più egoistici, più brutali e più materialistici insiti dentro di noi.

Like this Article? Share it!

About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

Comments are closed.