I LIFE affidano a sonorità eterogenee, fatte di indie-rock, pop e punk, il compito di descrivere, da un punto di vista periferico e marginale, quella alienante normalità che rischia di farci impazzire, mentre brani come “Big Moon Lake” o “Incomplete” narrano con suoni eccitanti, appassionati, martellanti e fantasiosi quell’enorme fardello di disperazione, turbolenza, impotenza e subalternità che un’intera generazione è costretta a trascinarsi dietro. Una generazione che, ingabbiata tra le ritmiche di “Almost Home”, non sembra riuscire a trovare il proprio spazio vitale, né a tornare a quella dimensione più pura, innocente e spensierata che, un tempo, avremmo potuto chiamare “casa”.
E senza una casa da cercare, i LIFE ci portano in un mondo inquietante ed ostile, su strade che sono sporche, strette e pericolose, mentre ogni angolo può nascondere una nuova minaccia e tutti i nostri sentimenti – persino l’amore – vengono ricoperti da un crudo e spettrale sudario, che ci obbliga a vivere qualsiasi emozione con ansia e timore, intrappolati in una realtà frenetica e angusta che consuma, voracemente, le nostre migliori energie, togliendoci il tempo di sognare, di immaginare, di sbagliare e di imparare. “Duck Egg Blue” vorrebbe aiutarci a liberarci da questo grigiore, in modo tale da riprenderci il nostro prezioso tempo e tutto lo spazio necessario a sentirci, liberamente, partecipi di esperienze e di percezioni che sono solo nostre e nessuno può obbligarci a vivere secondo modelli di perfezione, di bellezza e di felicità costruiti a priori.
Intanto la vivacità prende il sopravvento sul freddo sgomento; anche luoghi apparentemente distanti, nel culo più remoto e profondo del mondo, possono aiutarci a crescere, rafforando quella sensibilità che permetterà agli stati d’animo, agli incontri, agli addii, alle parole di rabbia ed amore, a quelle urlate e a quelle sussurrate, di trasformarsi in una manciata di canzoni vere; in qualcosa che è in grado di descrivere le sensazioni provate non solamente da quelli che erano lì, in prima persona, ma anche dalle tante altre persone, in tante altre città e tanti altri paesi, che provavano e vivevano delle situazioni e delle esperienze assolutamente simili, nonostante, spesso, per motivi di esclusivo interesse economico e politico, i nostri governanti amano farci apparire talmente diversi e lontani, da doverci, necessariamente, considerare nemici.
Ed invece, noi siamo ugualmente distanti dal potere più disumano e dispotico, noi siamo ugualmente arrabbiati dinanzi agli interessi finanziari che distruggono intere nazioni, noi siamo ugualmente soli nell’affrontare le tempeste virali che obbligano le nostre esistenze a fermarsi, a congelarsi, a richiudersi e a divorare sé stesse nel nome di coprifuoco e di lockdown, di nuove e di vecchie guerre, di terribili disastri ambientali, di fantasmi atomici, di antichi rigurgiti d’odio e pazzia che danno, ancora oggi, forma e vigore ad assurde, maniacali e violente ideologie di stampo sovranista e nazionalista, in una triste spirale auto-distruttiva che ci spinge, sempre più, verso nord, verso est, verso casa, verso una salvezza che, purtroppo, appare sempre più a rischio. Riusciremo ad invertire la direzione del nostro fatidico cammino? Sapremo ritrovarci?
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