Alcuni brani ti restano dentro, “No Outlet” della band americana dei Plight potrebbe diventare uno di questi brani. Il vestito cupo e malinconico, sul quale si innestano trame sonore lisergiche shoegaze e slowcore – dilatate e minimali – si adatta, alla perfezione, ai tempi moderni, sempre più simili ad un inferno di dipendenze fisiche e mentali. Dipendenze che caricano le nostre esistenze di una rabbia, gratuita e brutale, alla quale i ragazzi contrappongono le ritmiche lente e suadenti della canzone, le atmosfere cariche di dolente bellezza che rappresentano il loro ed il nostro argine emotivo nei confronti della follia, della superficialità, dell’inconsistenza e soprattutto del drammatico e virale materialismo con cui il potere, quello più subdolo e reazionario, tenta di controllare e manipolare le nostre giornate.
Un muro nel quale, a volte, la musica, con le sue rumorose stratificazioni strumentali, alcune delle quali tali da richiamare alla mente la purezza primordiale, eroica e sognante degli anni Novanta, con i suoi riverberi suggestivi e con i suoi passaggi pieni di chitarre, riesce a creare delle crepe attraverso cui recuperare la nostra preziosa ed inestimabile umanità. Nessun trauma, infatti, può portarcela via per sempre; dentro di noi esiste un luogo libero dai condizionamenti e dalle tempeste tecnologiche, svincolato dal peso di antiche credenze, ideologie contorte o manie di controllo e persecuzione, nel quale possiamo recuperare tutto quello che crediamo di aver perduto. Ed in tal senso il nostro io-musicale può essere la vera guida, più di quanto possano esserlo i tanti esperti di cui è colma la nostra società, i quali – come finti profeti – tentano, nel nome di una visione egoistica del Bene e del Male, di persuaderci a seguire una strada, piuttosto che un’altra.
Ma oltre lo specchio, oltre lo schermo della TV, del tablet o dello smartphone c’è molto altro. Da scoprire, da vivere, da conoscere, da ascoltare.
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