Ci vuole fantasia anche nel guardarsi indietro, nel cercare quegli spazi ariosi nei quali le chitarre incidevano le loro storie magiche, taglienti e provocatorie, ostinate, frenetiche e rockeggianti, e trasportarli ai nostri giorni, fregandosene del male assurdo di cui essi sono, purtroppo, intrisi. I Verdena, infatti, non strumentalizzano, in alcun modo, queste sonorità, non vogliono usarle per colpevolizzare il presente, non sfruttano il passato per identificare e indicare quelli che, oggi, dovrebbero essere i nostri nemici naturali.
Il loro è solamente un altro sogno, criptico e vulnerabile, ingenuo e ammaliante, e come tale va vissuto, va compreso e soprattutto va ascoltato. Abbiamo percorso strade diverse, abbiamo ascoltato voci diverse, abbiamo creduto in idee diverse, abbiamo amato ed odiato musiche diverse – dall’alternative-rock degli anni Novanta allo stoner metal, dal noise-rock al punk – tentando di intuire quale fosse la verità nascosta dietro le specchio psichedelico delle nostre emozioni più claustrofobiche, eppure, ora, ci ritroviamo ancora qui, tutti assieme, uno davanti all’altro, a significare, forse, che non esiste alcun assoluto nelle narrazioni umane.
Nessuna verità, nessun amore, nessuna giustizia, semplicemente dei momenti nei quali ci sentiamo più completi, altri nei quali siamo più vuoti, momenti che dopo momenti ci rendono più o meno malinconici, più o meno arrabbiati, più o meno luminosi, più o meno capaci di esplicitare e di condividere quelle che, tutto sommato, sono le nostre storie analogiche di condanna e redenzione. E i Verdena, in bilico tra le loro sfuriate passionali e i loro passaggi più ipnotici, ossessivi ed armonici, sanno farlo benissimo, anche quando, ci rammentano, che, in fondo, siamo soltanto degli sprovveduti, senza neanche un piano al quale aggrapparci, anche se, molto spesso, tutti quelli che si aggrappano ai loro piani diventano sempre più ostili, insensibili e feroci, arrivando anche ad impazzire.
Gli esseri umani sono ostaggio delle loro stesse propagande patologiche, mentre le menti si connettono in un mastodontico alveale virtuale di fake news e rendono convincente qualsiasi pericolosa cazzata riesca ad avere presa sui sentimenti primordiali, semplici ed istintivi delle masse. I Verdena di “Volevo Magia” percorrono, invece, un altro sentiero, più intimo, più midollare, più celebrale, estraneo a qualsiasi accattivante slogan dei tempi moderni, estraneo a qualsiasi fabbrica di immagini perfette, ma attaccato a ciò che siamo davvero quando ripercorriamo i giorni passati, senza miticizzarli o renderli eroici, ma assaporandoli, semplicemente, per quello che, nel bene e nel male, ci hanno dato, senza che ciò fosse necessariamente amplificato, sputtanato, idealizzato o banalizzato dai demoni artificiali che tentano di condizionare, algoritmo dopo algoritmo, le nostre esistenze, come se esse fossero delle dannate righe di codice che qualcuno, da qualche parte, lassù nei meandri bui e gelidi dello spazio, si sta divertendo a scrivere.
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