Amiamo l’infinito, è questo il messaggio che ci ha lasciato Charles Baudelaire, i suoi “I Paradisi Artificiali” erano, infatti, la testimonianza del nostro bisogno ad abbracciare orizzonti più ampi e sconosciuti, ad indagare tanto sul mondo esterno, quanto su quello che vive nella nostra intimità, rifiutando – perché venefici e mortali – tutti i diversi surrogati che, nel tempo, ci ha proposto una società che rimane borghese e materialista.
La necessità di indagare l’enigma, di comprendere com’è fatto il buio, di sapersi adeguare a nuovi orizzonti umani e musicali, riverbera anche nel disco dei Comaneci. “Anguille” è un lavoro che, al di là di ogni filtro utilitarista e di ogni ristretta e bigotta visione della realtà, ci sprona a non essere poveri di immaginazione, a sfidare le trasformazioni, a cercare una bellezza che non venga mai più offuscata dai calcoli, dai luoghi comuni e dai pregiudizi.
Tutto ciò rende questi undici brani delle preziose gemme intrise di rock sognante, riflessivo ed astrale, ma anche di sonorità indie-folk che, nella loro drammaticità e nella loro malinconia, ci aiutano a non smarrirci dinanzi alle immensità misteriose del cosmo e ai suoi riverberi di matrice trip-hop ed elettronica, così da non dimenticare mai ciò che siamo, la nostra natura umana, e soprattutto quelle che sono le nostre origini, l’eco primordiale di melodie fluide e sensuali che vivono, da sempre, in ciascuno di noi.
L’elemento acquatico, con la sua limpidezza e la sua profondità, contraddistingue tutto l’album, dalle atmosfere più sperimentali di “Hidden Place” fino a quelle sfumate e meditative di “Jaws”, permettendo alla nostra coscienza, spesso messa a tacere dai frenetici e caotici ritmi quotidiani, di far, finalmente, sentire la propria voce. Voce che è nostra, ma che, allo stesso tempo, è uno slancio sociale e collettivo; uno slancio capace di vincere qualsiasi forza di gravità esercitata dai media, dai social o dalle nuove tecnologie e spingerci verso il mondo poetico e multiforme di “The Tongue”, consapevoli di aver sottratto parte della verità alle cupe e corpose nebbie dell’ignoranza ed essere così più consapevoli, più felici, più appagati.
Abbiamo reso il nostro corpo più leggero, abbiamo sfidato le colonne d’Ercole e abbiamo intuito quell’incantesimo che rende speciali anche gli oggetti più banali, solamente, però, se riusciamo a rivestirli della luce vera e osservali, di conseguenza, in un contesto cha va al di là del dare e dell’avere, del successo e del potere, del vincere e del perdere, dell’io e degli altri. “Una rosa è una rosa e solo una rosa”, come scrisse Gertrude Stein, ma può anche essere un mondo completamente nuovo se ne sapremo cogliere l’essenza che ci sprona a cercare, in noi e nel mare che abbiamo dentro, questo straordinario disco.
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