giovedì, Novembre 7, 2024
Il Parco Paranoico

Rage Against The Machine, Rage Against The Machine

Sono un chitarrista e cerco un cantante, qualcuno che abbia vere idee di sinistra e che ami i Black Sabbath ed i Public Enemy. Iniziò più o meno così, con un semplice annuncio, il viaggio elettrico, sonoro e politico chiamato Rage Against The Machine, sullo sfondo di una dura, contraddittoria e violenta Los Angeles e un mondo che stava, velocemente, mutando pelle, in bilico tra un futuro che, per la prima volta, poteva essere davvero radioso e un passato che non faceva altro che riproporre i suoi bellicosi fantasmi. 

“Bullet In The Head”, ispirato dalla Guerra del Golfo, anticipava e criticava gli estremismi nazionalisti e sovranisti moderni, quelli che spingevano le nazioni a combattersi e le persone comuni ad ammazzarsi, affinché qualcuno, lassù in cima, potesse proclamare, tutto impettito, con l’appoggio di un sistema mediatico prono e compiacente, la conclusiva vittoria contro l’impero del Male; un impero che, a seconda delle epoche storiche, degli interessi economici in gioco e delle circostanze specifiche, cambiava, continuamente, la propria identificazione geografica, permettendo, però, come sempre, al fottuto zio Sam di “Take The Power Back” di impersonare la parte dell’eroe, del giusto, dell’onesto, del buono.

Senza perdere mai di vista l’hardcore e il punk delle origini, con il pugno tenuto rigorosamente alzato e un micidiale ed accattivante mix di metal, rap e funk-rock, i Rage Against The Machine hanno avuto, sin da subito, chiara la propria missione musicale ed umana. Hanno sempre saputo chi erano, hanno sempre saputo chi erano i loro nemici e hanno tentato di trasformare la propria rabbia e la propria frustrazione, le stesse che potevi respirare nei sobborghi di qualsiasi grande città americana, in un’arma micidiale il cui scopo non era quello di uccidere gli avversari, bensì quello di risvegliare le coscienze sopite, rendendo attuale lo spirito delle pantere nere e della contro-cultura degli anni Sessanta. Il sogno era quello di un’onda sociale tale da superare le differenze e diffidenze etniche, culturali, religiose o linguistiche esistenti tra le persone, consentendo così ai più poveri, ai deboli, agli emarginati e a tutti coloro che venivano, puntualmente, discriminati, di riconoscere e comprendere, finalmente, chi fosse il loro vero nemico.

“Know Your Enemy” è verità rivelata, tassello perfetto tra le pistole di Brixton cantate dai Clash, il mondo pacifico e sovversivo di John Lennon e le dure ed aspre invettive verbali di Chuck D, mentre, tutt’intorno, le fiamme della protesta, quelle rappresentate anche in copertina, ritraenti il monaco buddista vietnamita Thích Quảng Đức che decide di darsi fuoco per esprimere la sua condanna contro le politiche oppressive del presidente Ngô Đình Diệm nei confronti di tutti coloro che desideravano professare la religione buddista, diventavano sempre più alte, energiche ed inarrestabili. Quell’immagine cattura alla perfezione la natura della band, la sua rabbia contro la macchina, nonché la sua disperata ricerca di quella purezza e quella onestà primordiali che la portarono a mettere, nero su bianco, tra le note di copertina, che nessun campione, nessuna tastiera, nessun sintetizzatore era stato utilizzato per realizzare il disco.   

Disco che fu pubblicato dalla Epic Records, la quale è noto fosse una sussidiaria della Sony, cioè di una di quelle major discografiche che facevano, sicuramente, parte della macchina economica e finanziaria globale contro la quale esprimevano il proprio dissenso e il proprio disprezzo i Rage Against The Machine. Il socialismo musicale utilizzava e godeva, dunque, dei medesimi ingranaggi capitalistici che avrebbe voluto distruggere: una critica condivisibile. Fatto sta, però, che, in un mondo completamente diverso da quello attuale, nel quale la rete delle informazioni non era ancora così potente e tale da diffondere qualsiasi messaggio, quegli ingranaggi, per quanto macchiati di sangue, consentirono al messaggio della band di raggiungere il numero più ampio possibile di persone in tutto il mondo. Anche di arricchirsi, certo, ma cosa avrebbero dovuto fare? Avrebbero dovuto accontentarsi di una minuscola etichetta indipendente e farsi ascoltare solamente da una minoranza che, molto probabilmente, già condivideva e credeva nelle loro idee? O avrebbero dovuto tentare di diffondere e seminare, ovunque fosse possibile, quelle stesse idee? 

La loro voce, in fondo, nonostante le critiche, era, all’epoca, una delle pochissime voci che criticava, apertamente, il sistema educativo americano, che metteva in luce tutte le storture del patriottismo guerrafondaio ultra-cristiano e nazionalista repubblicano, che si opponeva al facile e semplice ricorso alle armi e che criticava quei media, tv e giornali, che, spesso, erano morbidi e compiacenti con il potere costituito, arrivando a veicolare posizioni politiche che erano solamente menzogne, come quella secondo cui la guerra potesse essere giusta o giustificabile quando diventava lo strumento col quale esportare libertà e democrazia.

I Rage Against The Machine si servirono della macchina e non avrebbero potuto fare altrimenti, ma il loro scopo era chiaro, esplicito ed evidente: indebolirne il nucleo, metterne in mostra le fratture, amplificarne le debolezze, in maniera tale che altri potessero dar luogo a quella rivoluzione intelligente che, purtroppo, noi stiamo ancora attendendo. Ma, nel frattempo, sposando le vibranti e viscerali trame sonore di “Killing In The Name”, la mia risposta è “vaffanculo, non farò quello che mi dici”, mio caro o mia cara presidente, è questo il vero seme di sfida, necessaria ed indispensabile, che ci hanno lasciato Zack De La Rocha, Tom Morello, Brad Wilk e Tim “C” Commerford.  

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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