“Do you like the world around you?” Vi piace il mondo che vi circonda? Vi sentite, davvero, parte di esso? Se è così questa non è la canzone per voi, non siete voi i negri, gli emarginati, gli sconfitti, i reietti, gli abitanti delle innumerevoli periferie del pianeta, quelli che vengono sfruttati, usati, manipolati, ma tenuti rigorosamente lontano dai luoghi nei quali si stabiliscono le regole dei modelli e degli schemi sociali, economici e politici tanto cari alle élite che detengono il potere globale e che determinano, a priori, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia bello e cosa sia brutto, cosa sia buono e cosa sia cattivo.
Io sono un negro, “I’m a nigga”, fatevene una ragione, non me ne frega assolutamente nulla del vostro meschino e conveniente politicamente corretto, del vostro finto progressismo di sinistra, buono solo per salotti, aperitivi e convention del Partito Democratico Mondiale, partito che poi, sotto sotto, cela una visione assolutamente discriminatoria, reazionaria e conformista del mondo. Quindi, amici miei, non fate finta di scandalizzarvi: sono io il negro di turno, esattamente come lo sono stati Jimi Hendrix, Jackson Pollock, Gesù o i tanti altri poveri cristi – bianchi, rossi, neri o gialli – prima e dopo di lui, prima e dopo di me.
Potete cancellare ciò che vi pare, potete vestire i panni degli amanti della democrazia, potete esibire il vostro opportunistico DNA partigiano e nascondere così tutta la vostra passata merda fascista sotto il tappeto di casa, fingendo di non ricordare più tutte le volte che avete sostenuto, con fiera e stolta convinzione, che 2 più 2 facesse 5.
E allora vaffanculo, miei cari.
Quando la finiremo di guardare solamente la scatola e non domandarci cosa c’è davvero lì dentro? E’ normale, in fondo, no? Se noi continuiamo a preoccuparci solo del pacchetto, del nastrino colorato e del fiocco, incuranti del contenuto, non c’è poi da stupirsi o scandalizzarsi se abbiamo paura della nostra stessa storia o di una vecchia foto o di un libro o di una poesia o di una parola, anche se questa parola è perfetta per descrivere la disperazione, la frustrazione, la rabbia e l’impotenza di coloro che vengono, continuamente, ignorati, colpevolizzati e marginalizzati dalla società, quelli che, a seconda dei periodi storici o dei precisi luoghi geografici cui facciamo riferimento, vengono chiamati, in maniera dispregiativa e razzista, i negri, i latinos, gli ebrei, i napoletani, gli zingari, gli arabi o come più vi aggrada.
Oggi, il fascista è chi ha paura della verità, chi se ne sta comodo nel suo bel centro storico e pretende di indicare agli altri come debbano vivere, come debbano relazionarsi gli uni con gli altri, quali siano i termini e le parole corrette da utilizzare nelle discussioni e quali siano i comportamenti accettabili in società. Intanto il mondo cambia e si trasforma, ma loro sono sempre lì, immobili, statici, aggrappati alle loro certezze, a far le loro belle seghe mentali al vuoto, a distribuire patenti di democrazia, giustizia o libertà che nessuno gli ha mai chiesto, senza rendersi conto di costruire una realtà fatta di compartimenti stagni, proprio quella che sarebbe piaciuta a gente come Hitler o Mussolini, Trump o Putin.
Ci vuole coraggio a usare le parole più vere, a raccontare le storie ed i fatti per quelli che sono, senza tentare, a tutti i costi, di renderli più accettabili, nascondendo così, dietro al mito del politicamente corretto, il fatto di non avere le palle per andare fino in fondo, per rinunciare, in prima persona, ai propri privilegi personali, quelli che piacciono tanto ai ricchi democratici-progressisti e costruire davvero una società più giusta, che non è la società che usa le parole più asettiche e meno compromettenti, ma quella che non ha paura di chiamare le cose per quello che sono. E questo è solamente il primo passo.
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