L’Italia ha avuto un vero ’68? Non credo e me ne dispiace. Ma ha avuto Pier Paolo Pasolini e lui, da solo, vale più di tanti fasulli ed ipocriti ’68. Una delle rare voci che, al tempo, seppe leggere tra le righe del disordine dilagante, scoprendo e mostrando come, invece, quel caos apparente non facesse altro che nascondere, in realtà, uno schema preciso, matematico e perverso. Uno schema il cui obiettivo era condurre le eminenze oscure del capitalismo a trasformarsi in una sorta di padri saggi della patria e occupare, stabilmente, nei decenni a venire, il potere politico, economico e sociale.
L’ospite, l’estraneo, il viandante sconosciuto non avrebbe dovuto solamente sconvolgere l’esistenza della famiglia piccolo-borghese di “Teorema”, ma avrebbe dovuto sconvolgere e invadere la vita di un’intera nazione, mostrando quanto essa fosse opportunista, bigotta, materialista e pericolosamente incline al compromesso, all’inciucio, all’accordo sotto banco e alla raccomandazione. E, inoltre, a tutte quelle mistificazioni, a quelle manipolazioni, a quelle prepotenze, a quei crimini con i quali, ancora oggi, non facciamo altro che favorire il potere e, come scriveva Fabrizio De André nella sua “Storia Di Un Impiegato”, quelli che sono i soci vitalizi del potere, ammucchiati in discesa, a difesa della loro celebrazione.
Pasolini riuscì, di fatto, a comprendere, e tentò di trasmetterlo nelle sue opere, come l’uomo moderno stesse cancellando ogni elemento mistico, antico, rituale, sacrale, naturale, segreto e misterioso dalla propria quotidianità, rendendo ogni cosa, persino l’idea di Dio, un banale prodotto, frutto di processi e meccanismi seriali e predisponendosi, quindi, ad accettare quella globalizzazione che, nel nome della tecnologia, delle comodità offerte, del benessere raggiunto e del progresso, sarebbe diventata, dapprima, il modello di sviluppo vincente e, successivamente, l’unico modello di sviluppo possibile.
Un modello che si è impossessato persino dell’erotismo, del sesso, della passione e di quella fondamentale “stranizza d’amuri”, tanto cara a Franco Battiato, derubandola sia dell’essenza spirituale, che delle forme e del corpo, per alimentare quelle che sono, invece, le sue plastiche, deprimenti e poco fantasiose ossessioni. E così anche gli istinti più puri, più arcaici, più sensuali e più selvaggi, sono stati contestualizzati politicamente, disinfettati, sterilizzati e mercificati, come già era stato fatto, brillantemente, dal loro punto di vista, con la lotta di classe, con le rivendicazioni sociali e con la rivoluzione, diventate parole vacue che, oggi, fanno solamente sorridere e nulla più. Ma ancora una volta, Pasolini può darci una mano ad uscire dall’inganno nel quale siamo caduti: la strada è quella del suo “Decameron”, quella che, al di là delle immagini, scandalose per l’epoca, indica nella libertà verbale, nella comunicazione cruda e veritiera, svincolata dalle regole imposte da una oppressiva lingua madre e nella creazione di un proprio identitario mezzo di trasmissione di sentimenti e stati d’animo, il solo modo con cui possiamo rinnovarci, scegliendo la nostra salvifica e deprecata parte sbagliata, tanto quella giusta, come cantava Giorgio Gaber, è quella del conformista, quella dell’uomo che si muove senza consistenza nel mare della maggioranza.
Le canzoni presenti nella playlist sono: o testi – in toto o in parte – scritti direttamente da PPP; o canzoni dedicate, esplicitamente, dagli artisti a PPP; o presenti in compilation dedicate / ispirate alle opere e alla vita di PPP; o presenti nelle colonne sonore dei film girati dallo stesso PPP; o, infine, presenti nelle colonne sonore di film che altri registri hanno dedicato a PPP.
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