I Freak Genes sono un duo synth-punk britannico che non disdegna divagare in territori sonori diversi ed eterogenei, passando dal power-pop ad una luminescente psichedelia aliena di stampo barrettiano, da un punk-rock ironico, crudo e tagliente al rock ‘n’ roll veloce e ballabile delle origini. I cambiamenti di ritmo ed atmosfera sono, infatti, repentini, attraversando, senza praticamente rendersene conto, vari decenni di musica, ma non perdendo mai di vista i tempi moderni e soprattutto la nostra fluida, competitiva e pressante guerra di posizione, anche quando le tastiere anni Ottanta irrompono, con incisiva determinazione, nel flusso sonoro oppure quando le dinamiche diventano più oniriche, sfumate ed estranianti.
“Hologram” è il nostro prossimo futuro, un futuro che Charlie Murphy e Andrew Anderson dipingono con tonalità oscure: stiamo perdendo la nostra umanità, omologandoci sui medesimi modelli artificiali, ma, per quanto essi possano apparire perfetti ed indistruttibili, noi non riusciremo mai ad essere delle macchine altrettanto perfette, in quanto la nostra fragilità umana – nonostante il progresso scientifico e tecnologico – non ci abbandonerà mai e, prima o poi verrà, a chiederci di saldare il conto. Nonostante, quindi, la struttura formale, all’apparenza esclusivamente robotica, digitale e sintetica, di queste canzoni, la controparte analogica e corporea rimane sempre presente in background, facendo sì che l’album, nel suo complesso, non diventi mai piatto, scontato o prevedibile, ma dando sempre la percezione concreta di essere un organismo vivo ed in evoluzione, un organismo capace, quindi, di sfuggire alla spirale di negatività cosmica che, altrimenti, risucchierebbe ogni sua energia.
Il fatto stesso che i Freak Genes siano così propensi a pubblicare nuova musica è segno di un’idea di base forte, in grado di vincere ogni stortura, ogni tensione, ogni arido e desolante futuro, ogni spettro tenti di insinuarsi nella nostra mente, trasformando l’orrore in un ballo cyber-punk onirico, distorto, sghembo, obliquo, bizzarro, ma carico di costruttiva speranza. Possiamo perdere ciò che amiamo, a volte è del tutto normale, perché è la vita, ma finché conserveremo la nostra umanità potremo utilizzare i sentimenti, i ricordi, i dialoghi, i fatti, le emozioni per creare qualcosa da poter condividere con gli altri, permettendo così alla cultura della vita di avere sempre la meglio sulla morte.
Comments are closed.