Vivere a pieno il proprio presente è questo il senso che i Morgana, band toscana dalla vibrante anima post-punk e new wave, danno alla contemporaneità. Non dovremmo mai scendere a compromessi con un sistema di potere che ci distrae, offrendoci i suoi beni e i suoi servizi, apparentemente chiedendoci in cambio parte del nostro tempo e delle nostre energie, ma, in realtà, obbligandoci a plasmare tutta la nostra esistenza in base a quelli che sono modelli sociali, politici, etici e industriali predefiniti e concepiti non per il nostro bene e la nostra libertà individuale, ma per tenerci attaccati ad un cordone ombelicale artificiale.
Un cordone ombelicale che non è più costituito oggi, nel 2023, dagli ingranaggi e dalle catene di produzione delle grandi fabbriche, ma che assume la forma fluida e luminescente di un flusso continuo di byte prodotti da algoritmi che tentano di renderci tutti ugualmente soli, tutti ugualmente precari, tutti ugualmente indifesi, tutti ugualmente impauriti, tutti ugualmente malati, tutti ugualmente condannati. Ed ecco che le parole scorrono, si fondono con la musica in maniera naturale, passando da un tagliente e scorbutico italiano ad un accattivante e leggero francese, come se si trattasse dello stesso linguaggio: il linguaggio dell’anima, la nostra anima, che ci rammenta, in ogni istante, che è meglio fallire, è meglio sbagliare, è meglio cadere, piuttosto che non provare mai a cambiare, davvero, il mondo di cui siamo parte.
Questa nostra contemporaneità fatta di sguardi bassi, di compromessi, di tariffe, è una contemporaneità malata che ci spinge a sposare le note e deliranti regole di quella “fucina di potere temporale” cantata, a suo tempo, dai C.S.I., ad un mondo, apparentemente, diverso, nel quale vivevano persone, apparentemente, diverse, che avevano fondato una società, apparentemente, diversa. Ma, invece, a ben guardare, i problemi sono esattamente gli stessi: il lavoro, il denaro, un’equa distribuzione delle risorse, la stabilità, un futuro stabile, solido e pacifico. Viviamo, dunque, in un contenitore statico, nel quale i cambiamenti sono solo apparenti e non interessano mai quello che è l’obiettivo finale di coloro che detengono il potere, i mezzi e gli strumenti, ovvero quello di controllare gli altri e renderli sempre più dipendenti, sempre più deboli, più fragili, più poveri, più soli, più precari, acuendo quelle che sono le loro paure, le loro ansie, le loro frustrazioni, così da garantirsi un controllo sempre più subdolo, sempre più micidiale, sempre più opprimente e soprattutto sempre più ostile.
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